E’ sempre questa l’ora.
L’imbrunire del giorno
che anticipa il tuo ritorno.
Quando il cielo si abbassa
spumoso
come neve di carbone
mi spoglio del vestito
di una vita appesa,
mentre i brividi
attendono di essere saziati
dall’abito buono
che mi strappi ogni volta.
Feticista dei miei sentimenti.
Vasco mi suggerisce che
‘sto pensando a te’
e così le mie gambe
docili
si lasciano plasmare
da una pioggia di piccole luci.
In religiosa fila
per un finale eretico.
Schiantati in me.
Archivi categoria: Cocci di Assenza (2010)
Archè
Sarò all’antica
ma detesto le cornici digitali.
Ci scorrono dentro
immagini che son convinta
di non aver vissuto così,
in quei pixel pieni di vuoto
io non ci sono.
Ci provasse la tecnologia
a sparare sullo schermo
la miriade di istanti
che mi hai fatto assaporare
nel tempo di un acquazzone
nello spazio di un parcheggio
nella distanza di un abbraccio.
E questo tutto
è talmente troppo
che neppure tu
riesci ad anagrammare
il ‘caos’ di situazioni
per arrivare a ‘cosa’.
Fisiologico quindi
che io non appaia
nel random della tua cornice.
Un pensiero per te
Slaccia le mie dita.
Non te lo aspettavi, vero?
C’è tutto il mio mondo
in questo fazzoletto di spazio,
tutte le esperienze
vissute e conservate
perché ti mostrino
la faccia buona
dell’esistere.
Con la pioggia presa
per aver scordato l’ombrello
ho fatto questi occhiali
ti proteggeranno dagli sguardi indiscreti
quando ti capiterà di piangere.
Dai sospiri che ho inchiodato al cielo
è venuta fuori questa panchina
custode dei segreti
che mi vorrai regalare.
Se osservi la coperta
che ti ripara il cuore dalle ferite
ci troverai cuciti
i miei arcobaleni.
Con le note di questa canzone
ho aggiustato la tua altalena
perché i sorrisi
non siano più un ricordo.
Vedi come è facile?
Basta la tua mano sulla mia
perché la mia vita
diventi il tuo pensiero quotidiano.
La tua giacca
Accartocciata
in un rigurgito di letargo
c’ha pensato il malefico sole
a riscaldare il fotogramma
vissuto ieri.
E’ la solita minestra
servita nel solito piatto
che vorrei isolare
perdonando la finta distrazione
del gomito.
Cocci di assenza,
mai una volta che possa confidare
nell’ “assenza di cocci”.
Un pensiero futile
mi attanaglia la mente.
Quella morbida giacca
di velluto nero
e il movimento delle tue mani
lungo i cilindri di stoffa.
Simile è il mio tentativo di proteggerti
da una pallottola d’acciaio
dotata di ali.
Alzo le mani
di fronte allo scontato epilogo:
rewind-stop-play.
Rewind-stop-play.
Refrain dell’assenza.
Spigoli di carta
Piove sul cuore
una manciata di spigoli
che accolgono lembi
delle nostre vite incontrate.
Una nevicata di primavera,
una spruzzata di coriandoli
in piena Quaresima,
eventi inattesi e non pretesi
come i momenti che mi regali.
La tua eccessiva generosità
è il rovescio della medaglia
non ce la faccio ad arginare
questo ennesimo sciabordio.
Mi ritrovo pile di foto
e mani incapaci
a centrare il bersaglio.
Questi spigoli di carta
mi stanno uncinando.
L’altalena
Affiora ciò che era il mio mondo
ante te.
Poi, inscindibile
irrompi tu.
Ti espandi nella memoria
veloce come veleno di aspide,
come vino rosso
vorace del bianco di tovaglia.
Inutile salvare almeno un attimo
rifugiato nel più remoto dei neuroni.
Ci sei stato sempre
con le guance truccate di timidezza
magari con un mantello fatto di polvere
che ti rendesse invisibile.
Gli oggetti della mia infanzia
sanno di te
mi comportavo con loro
con la stessa sequenza di azione e reazione
apparsa nell’incidente
tra le nostre vite.
Ed ora questo tuo esserci
pur non essendoci
o se preferisci
questo tuo non esserci
pur essendoci
mi dondola.
Viaggio sospesa
tra il bruciore delle mani
che sono bianchi nodi sulle catene
di questa altalena
ed il bianco delle nuvole
dove sublimare
il contorno dei piedi.
C’è
C’è
che il mondo si scorda di esistere
ed origlia
il bisbiglio di due corpi.
C’è
questa fitta nebbia di contorno
che appanna le altrui vite,
il presente
mentre i nostri occhi
si raccontano albe e tramonti interiori.
C’è
una mano a provocare l’altra
imprevedibili
come due cavalli selvatici
consapevoli delle briglie.
C’è
un disco rotto in ogni cellula
che suona
“in ricchezza e povertà”
“in salute e malattia”.
C’è
che a forza di suonare
quel disco sono io.
Solchi circolari
mi disegnano sulla pelle
“in ogni giorno della mia vita”.
Il bacio
Sanguinano i miei polsi
sotto il peso di fili di seta
tentacoli iridescenti
cuciti sul tuo cuore.
L’aura della tua forza
mi fa tornare sui miei passi
impronte che cancellano impronte umane
per assurgere al divino.
Diventiamo in un solo istante
elementi della tavola periodica
la ricetta segreta
che ci ha portati fin qui
ce la stiamo tramandando
nelle nostre labbra incollate.
Siamo l’antidoto
uno dell’altra
l’antidoto
a questi assordanti metal detector
l’antidoto al terrore.
Se mi rovescio
su questa notizia di giornale
magari potrei essere
l’antidoto
alla stupidità terrena.
Anestesia
Cloroformio
sparato in vena.
E’ un arrivo speciale
nel terminal
del mio cuore
il tanto sospirato callo
che mi isola
dal tuo essere.
E il tempo in cui
in sella ad una stella
mi sporcavo del suo pulviscolo
per presenziare
ad una festa solo nostra
è rimasto incagliato
nella sua coda.
Dovrò attendere
la prossima era geologica
per rivedermi nel passato.
Chissà se domani
riuscirò a spogliarmi
di questa cicatrice
geneticamente modificata,
se riuscirò a partire
dalla fine
come una riga scritta in arabo
per leggere nuove strade
di noi.
Cerchio magico
In tempo di carestia
eccetto che di pioggia
le briciole su cui sorvoli
le squadro
con occhiali da saldatore
tanto per me fanno luce.
Sono un’instancabile
scarabeo viola,
mai mi separo
dai brandelli della tua vita.
Nei giorni di magra
me li spargo intorno
disegnando un cerchio,
io sono il luogo geometrico
che dà loro IL senso
e loro mi proteggono
manco fossi uno sciamano
con i suoi numi protettori.
Nei giorni di scialo
li cucio sull’anulare sinistro,
vernissage di vanità.