Sto pensando a te

E’ sempre questa l’ora.
L’imbrunire del giorno
che anticipa il tuo ritorno.
Quando il cielo si abbassa
spumoso
come neve di carbone
mi spoglio del vestito
di una vita appesa,
mentre i brividi
attendono di essere saziati
dall’abito buono
che mi strappi ogni volta.
Feticista dei miei sentimenti.
Vasco mi suggerisce che
‘sto pensando a te’
e così le mie gambe
docili
si lasciano plasmare
da una pioggia di piccole luci.
In religiosa fila
per un finale eretico.
Schiantati in me.

Archè

Sarò all’antica
ma detesto le cornici digitali.
Ci scorrono dentro
immagini che son convinta
di non aver vissuto così,
in quei pixel pieni di vuoto
io non ci sono.
Ci provasse la tecnologia
a sparare sullo schermo
la miriade di istanti
che mi hai fatto assaporare
nel tempo di un acquazzone
nello spazio di un parcheggio
nella distanza di un abbraccio.
E questo tutto
è talmente troppo
che neppure tu
riesci ad anagrammare
il ‘caos’ di situazioni
per arrivare a ‘cosa’.
Fisiologico quindi
che io non appaia
nel random della tua cornice.

Un pensiero per te

Slaccia le mie dita.
Non te lo aspettavi, vero?
C’è tutto il mio mondo
in questo fazzoletto di spazio,
tutte le esperienze
vissute e conservate
perché ti mostrino
la faccia buona
dell’esistere.
Con la pioggia presa
per aver scordato l’ombrello
ho fatto questi occhiali
ti proteggeranno dagli sguardi indiscreti
quando ti capiterà di piangere.
Dai sospiri che ho inchiodato al cielo
è venuta fuori questa panchina
custode dei segreti
che mi vorrai regalare.
Se osservi la coperta
che ti ripara il cuore dalle ferite
ci troverai cuciti
i miei arcobaleni.
Con le note di questa canzone
ho aggiustato la tua altalena
perché i sorrisi
non siano più un ricordo.
Vedi come è facile?
Basta la tua mano sulla mia
perché la mia vita
diventi il tuo pensiero quotidiano.

La tua giacca

Accartocciata
in un rigurgito di letargo
c’ha pensato il malefico sole
a riscaldare il fotogramma
vissuto ieri.
E’ la solita minestra
servita nel solito piatto
che vorrei isolare
perdonando la finta distrazione
del gomito.
Cocci di assenza,
mai una volta che possa confidare
nell’ “assenza di cocci”.
Un pensiero futile
mi attanaglia la mente.
Quella morbida giacca
di velluto nero
e il movimento delle tue mani
lungo i cilindri di stoffa.
Simile è il mio tentativo di proteggerti
da una pallottola d’acciaio
dotata di ali.
Alzo le mani
di fronte allo scontato epilogo:
rewind-stop-play.
Rewind-stop-play.
Refrain dell’assenza.

Spigoli di carta

Piove sul cuore

una manciata di spigoli

che accolgono lembi

delle nostre vite incontrate.

Una nevicata di primavera,

una spruzzata di coriandoli

in piena Quaresima,

eventi inattesi e non pretesi

come i momenti che mi regali.

La tua eccessiva generosità

è il rovescio della medaglia

non ce la faccio ad arginare

questo ennesimo sciabordio.

Mi ritrovo pile di foto

e mani incapaci

a centrare il bersaglio.

Questi spigoli di carta

mi stanno uncinando.

L’altalena

Affiora ciò che era il mio mondo

ante te.

Poi, inscindibile

irrompi tu.

Ti espandi nella memoria

veloce come veleno di aspide,

come vino rosso

vorace del bianco di tovaglia.

Inutile salvare almeno un attimo

rifugiato nel più remoto dei neuroni.

Ci sei stato sempre

con le guance truccate di timidezza

magari con un mantello fatto di polvere

che ti rendesse invisibile.

Gli oggetti della mia infanzia

sanno di te

mi comportavo con loro

con la stessa sequenza di azione e reazione

apparsa nell’incidente

tra le nostre vite.

Ed ora questo tuo esserci

pur non essendoci

o se preferisci

questo tuo non esserci

pur essendoci

mi dondola.

Viaggio sospesa

tra il bruciore delle mani

che sono bianchi nodi sulle catene

di questa altalena

ed il bianco delle nuvole

dove sublimare

il contorno dei piedi.

C’è

C’è
che il mondo si scorda di esistere
ed origlia
il bisbiglio di due corpi.
C’è
questa fitta nebbia di contorno
che appanna le altrui vite,
il presente
mentre i nostri occhi
si raccontano albe e tramonti interiori.
C’è
una mano a provocare l’altra
imprevedibili
come due cavalli selvatici
consapevoli delle briglie.
C’è
un disco rotto in ogni cellula
che suona
“in ricchezza e povertà”
“in salute e malattia”.
C’è
che a forza di suonare
quel disco sono io.
Solchi circolari
mi disegnano sulla pelle
“in ogni giorno della mia vita”.

Il bacio

Sanguinano i miei polsi

sotto il peso di fili di seta

tentacoli iridescenti

cuciti sul tuo cuore.

L’aura della tua forza

mi fa tornare sui miei passi

impronte che cancellano impronte umane

per assurgere al divino.

Diventiamo in un solo istante

elementi della tavola periodica

la ricetta segreta

che ci ha portati fin qui

ce la stiamo tramandando

nelle nostre labbra incollate.

Siamo l’antidoto

uno dell’altra

l’antidoto

a questi assordanti metal detector

l’antidoto al terrore.

Se mi rovescio

su questa notizia di giornale

magari potrei essere

l’antidoto

alla stupidità terrena.

Anestesia

Cloroformio
sparato in vena.
E’ un arrivo speciale
nel terminal
del mio cuore
il tanto sospirato callo
che mi isola
dal tuo essere.
E il tempo in cui
in sella ad una stella
mi sporcavo del suo pulviscolo
per presenziare
ad una festa solo nostra
è rimasto incagliato
nella sua coda.
Dovrò attendere
la prossima era geologica
per rivedermi nel passato.
Chissà se domani
riuscirò a spogliarmi
di questa cicatrice
geneticamente modificata,
se riuscirò a partire
dalla fine
come una riga scritta in arabo
per leggere nuove strade
di noi.

Cerchio magico

In tempo di carestia
eccetto che di pioggia
le briciole su cui sorvoli
le squadro
con occhiali da saldatore
tanto per me fanno luce.
Sono un’instancabile
scarabeo viola,
mai mi separo
dai brandelli della tua vita.
Nei giorni di magra
me li spargo intorno
disegnando un cerchio,
io sono il luogo geometrico
che dà loro IL senso
e loro mi proteggono
manco fossi uno sciamano
con i suoi numi protettori.
Nei giorni di scialo
li cucio sull’anulare sinistro,
vernissage di vanità.