Climax

Accordami nel clima
ambientato tra i tuoi baci,
di carezze è ritagliato il palco
e il proscenio è il destino del tuo sguardo.
Applausi, lascia sia io a tremarli
a passi e spasmi di schiena
a congedarli poi nella parabola di luce
del foyer, e del mio secondo atto.

Cromature (il microfono)

Spiragli di bianco e di nero
camminati, sofferti
scansati cogli occhi senza arginarli mai.
Soffia ragazzo, soffia
acrobazie del cuore
sulla mia pelle cromata.
Sarò vestàle del tuo blues
poi setaccio a dissiparti lacrime
su quel fiume d’iride
alla foce d’un bacio.

Il dato di fatto

 

Credo
e lascio andare la pelle
in transumanza, per vallate
di respiro e d’estasi.

Credo
e lascio pensare la pelle
-della mente anche-
su niente di particolare
e in generale su tutto.

Non chiedi mai e mai posso dirti
se non quel dato di fatto
che se un Dio traccia la retta
tra sabbia e tramonto
avremo il nostro passo di insieme
a calzare la luce.

Manila (a Daniel)

Non fanno male le ginocchia
sotto il peso d’un sogno,
gli occhi scrivono
quell’adesso che vorrei.
Ho fatto tana al sole
nel suo più bel nascondino
scherza ogni giorno
a portarsi via i raggi
prima che finisca i compiti.

Un gomitolo di lucciole
su assi accavallate.
Una fiaba di confine.

Le cose belle

Ho scavato un pertugio
nel mio sentire, che credevo esausto
di affastellare destini
colpevoli per essere pagliacci di probabilità.
Da quello spigolo
hai solleticato un bosco
senza rovi nè fiere
solo bacche a dipingermi il pudore
e lo sbadiglio dei raggi a ricordarmi dei giorni.
Corro
in battiti vermigli che stanno quieti
non c’è altra parola tra le tue dita
se non pace.
Lascio un campo di grano pensato infinito
sapendo che tutti i mondi hanno uno specchio magico
una mela marcia.
C’è tempo
stavolta delizio i piedi nel muschio
e colgo dal vicino ramo
un barattolo di marmellata.

Il gusto è quello delle cose belle.

Spinta

Cicale rosse
lanterne che friniscono brezza
e che mandiamo al cielo per farci osservare un po’ di più.
Piedi
terra
nudi
acqua, una pelle appena più spessa
a ripararmi da quando non starai.
Hai la necessità di una sillaba
tra le corde con cui musico la mente
sei rete che pesca le mie lacrime
a strascico le asciughi.
Carezze
di carne e d’ossa mutano in pioli
scalo il denso che mi perseguita
galleggio in quella che sono
e che ami farmi sapere.

Una prece

Scivoli.
No, faresti troppo rumore
segneresti comunque un cammino
da sdrucciolarci ricordi
da riempire e farne alveo di mareggiate.
Evapori
questo è il verbo che accorre
alla mente, perchè tu
non sia più verbo.