I giorni come questo

In giorni come questo
non so che sapore dare alla mia lingua
forse quello dell’acqua piovana, corsa di finestra in finestra
dove confonde i visi di uomini e donne in una storia d’amore.
In giorni come questo
la mia lingua sa più di neve
brucia nell’incertezza se a terra si scioglierà o vivrà.
Posarmi su qualcosa di estraneo
un pensiero, una parola ascoltata
un bacio che è mio solo per metà
assaporo questo dinnanzi al cielo
che piove e si ripara dal freddo
nevicando il sapore che ho
in preda all’amore.

Come una donna, come una rosa

Come una donna.
Negli inverni che sferzano ogni reliquia di linfa
la rosa è come una donna
nasconde il viso e increspa le spine
piange all’alba
per i sogni di ghiaccio che le inarcano il petto
e lascia al tempo un rivolo di rugiada
uno stridore sulle foglie, mentre tutto dorme.
Come una donna sboccia in mille direzioni
che l’occhio non comprende
se il cuore glielo abbiano messo in ultimo
o il movimento sia nato da lì.
Come una rosa non saprai mai il suo centro
quanti petali conti, come una donna
inclinerà il collo ma solo per spostare lo sguardo.
Una donna che tiene per mano una rosa
stringe le anime alla luce
nel punto esatto dove cielo e terra
si confidano.

Il tribunale delle ali

Il rubinetto goccia
acqua che non laverà nessun viso
il posacenere fuma una sigaretta appena accesa
la pentola batte come un cuore sopra il fuoco azzurro
e tu sei tratteggiata in una cornice di nastro adesivo.

Il tribunale delle ali non toglie mai udienza

“Uccide e tenta”

<<Eppure io ti amavo>>

“Uccide e tenta”

<<Perchè non sei riuscito>>

“Uccide e tenta”.

Il rubinetto goccia
un angelo lava gli occhi del Paradiso.

Quando riposo il cuore

Resta
quando riposo il cuore
quando il sangue rallenta il tempo
e sento ogni vena come radice da cui nascesti.
Resta nella ciotola di profumo
dove ti battezzo con baci e nenie
resta, con la tua carne che si fa guancia sul mio ventre
resta dopo le lacrime
così da poterti vedere nei giorni di sole,
resta per fare di noi il sole
io al centro
tu infiniti girotondi di lucentezza.

Magazzino diciotto

Quattrocentogrammi di chiodi
uno alla volta tra le dita
non per appendere campane alla domenica
nè giorni di festa alla parete.
Valgono il peso di quattrocentogrammi di chiodi
i tuoi affetti da imballare
ferro che picchi in ossi di legno
marci e sdentati, come la voce dei passi
in ordinata disperazione.
Trovi di tutto nel magazzino diciotto
rovi di sedie mobili sull’attenti
manciate di quattrocentogrammi di chiodi
con la fretta di sprangare porte e finestre,
correre
che il corpo è un avanzo, buono per domani
e l’anima tornerai a prenderla
nella stretta di un bambino a un fiore
tuo figlio o chissà, nipote
quando il cielo è ruggine di chiodi, in un giorno di festa
alla parete del magazzino diciotto.

Nel nome

Metto in soffitta gli occhi
per come, nel tuo nome, li ricamasti.
Azzurri, del tono che il vento veste quando mescola il cielo
azzurri come il mare
che disegna la sabbia e non puoi aggiungerci nulla
azzurri come l’apnea
quando ti immergi e vedi la limpidezza del silenzio.
Metto in soffitta gli occhi
copro il lucernaio
spengo il camino. Rimarrò in un angolo
finchè mi incontrerai su mille volti
e per mille volte non sarò io.

Un lenzuolo azzurro gode nel letto del mio nuovo amore.

Stare

Foglia, che ragione hai
di stare al vento
se ti contorce ai suoi discorsi
e sei sospesa di parole.
C’era motivo di stare sul ramo
almeno, in un punto, nutrivi l’abbraccio
almeno, la linfa.
Si pesa di più a non respirare
decidi, per poter rinunciare.
C’è la terra che ti guarda
sorride e s’apre il corpo.
Nulla di meglio cercava
che un cuore disposto a cambiare.

L’alfabeto

Sono in grado di amarmi
con ogni alfabeto
a caratteri letti o dettati
su pagine di righe o quadri
da destra a sinistra quando mi rintano
dal basso in alto come va la gioia.
Vorrei mi amassi con diversa sintassi
corsivo stampatello, tratto mancino o destrorso
e ciononostante stessi ancora in tema
che in tempo lo sei sempre
e il sempre non te lo dovrei.