Pertugi luce

Non c’è più niente che io chieda all’assenza
non il pericolo che vive la tua carne
né il cammino scalato dal tuo fiato
non il fondo della notte che non ti fa sognare
né quando saremo piacere per la voce.
Più nulla io domando
perché mi stai in attitudine di ossa
e non voltandomi né protendendo i sensi
tu già fai di me ciò che vorresti per noi.
Mi dilungo sulla terra, una mano scava
l’altra ti cerca gli occhi sul tramonto.
Espandi oro e argento, nel lasso di sole
accenni alle stelle, al futuro
adagio a seminarsi e sbocciare.
Da ogni periodo, di tempo e parole
… pertugi luce.

Amore di seta

Non c’è più il male
in questo tempo scarno delle tue sembianze
se pongo le ore nella giusta flessione
le lacrime tacciono
e il sangue la smette di scorrere controvento.
Come sia riuscita ad affinare l’amore in una seta
mi chiedi, e vago.
Sarò partita di notte, una carezza di pollice e indice
sfregata sulle lenzuola insipide, condotta senza sosta
finchè i singhiozzi allentano il respiro. E di giorno avrò continuato
con le nuvole la nebbia la rugiada, senza accorgermene
perchè di me sai che sono il moto perpetuo della passione.
Davvero, non c’è più il male
in questo amore di cui sono fatta, come potrebbe il male fallare
una seta? E mentre il vento la dilata al cielo
corri da me e abbracciami, ti farò impalpabile al dolore.

Morsi d’amore

La mia pelle si accalca
ai tuoi morsi d’amore, smaglio
cellula dopo cellula, vena dentro vena
mi corrugo in foce.
Cosa te ne fai di me
granello di piacere che lambisce le tue labbra?
Le briglie sfuggono al collo
e tremo e conduci il mento allo zenith.
La mia pelle si accalda
nei tuoi morsi d’amore profumo
come la deriva del mare alla battigia.
E tu disseti.

Il pic-nic

Sentire la mia pelle farsi erba
e l’erba la mia carne, in questo peso sospeso
che scorro azzurra, tra filari di cielo e i tuoi capelli
appena innevati dagli anni.
Voci di clorofilla, labbra schiuse al latte della natura selvaggia
scontorniamo raggi e nuvole con sapienti limiti di dita.
Perchè tappare il vino rosso piegare la tovaglia
salire in auto, tornare? Anche se il viaggio fosse casa
indugiamo, sdraiati in orecchio alla terra potremo essere
più alberi di loro. Basta credere nelle nostre radici.

All’insù

Mi chiedo delle ali la fermezza
quanta ne debbano avere
per stare cave alle note del vento
e nel contempo dominarlo
mai un cenno di paura
che quel nido dove sono dirette
non possa che essere casa.

L’attitudine delle spine

Il bocciolo sa che nulla è per sempre
e che il sempre non si avvera mai.
Apre uno spiraglio pei raggi affilati dal sole
si predispone all’ora migliore, quella dei petali concentrici
così stretti da fare pulsare la linfa.
Il vento è l’improvviso
una carezza che aggiunge vita al sentirsi in vita
rimpolpa le spine come la pancia di piccoli cavalli meccanici.
Il vento ninnola parole arcaiche
terra fiorente su cui il fiore correva
nel tempo delle sue gambe carnose,
il vento ninna e stringe a sè
l’attitudine delle spine.
La prima mela, bacata da un teschio
tante altre immagini di distruzione
occhi armati negli occhi, finchè il vento
liquefa in goccia di sangue.
Un petalo, mosso a velo
la copre appena.
Ogni colore riprende il suo trono
la rosa schiarisce nel corpo di donna.

In fondo al sogno

Non ho paura di salire in fondo al sogno
una mansarda appena dipinta
in colori assoluti. Granelli di stelle
nella scia setosa di un ragno; vedi, amore
è il tappeto elastico su cui auspica il cielo.
Perchè mai arrenderci?
Impuro di tarli il legno scricchiola
le incertezze infradiciano il profumo di casa;
ma quante dita abbiamo
per districare i nodi, e in attraverso
correre insieme e perderci insieme?
Non ho paura di scendere in fondo al sogno
come in quella sera di salsedine dove fummo possibili e belli
e nel braccio intrecciato al tuo eravamo ore e minuti
di una luna meccanica.
Non avere paura, che sia di salire o scendere
un sogno non è pianeggiante, come potrebbe esserlo
se gli dei lo crearono da una costola del cuore?

L’albero della nave

Bitume in cielo
so che è il cielo solo perchè sta lassù.
Fetore chimico
pinnacolo di luce e fumo
corolla senza petali
un giallo-bianco neoplasia della pace.
Che albero sei
se i tuoi frutti sono questi
glabro di foglie e costretto a una bandiera
di stelle incredule di strisce nel sangue.
Che albero ti hanno fatto diventare
strappandoti le vele perchè non ci sia altro viaggio
altro obiettivo oltre all’inferno, non quello
cantato nei libri, non lo spauracchio parlato da bocche sacre.
L’inferno da inventare, quello mi stride le tempie.

Da mano a mano

Nuvole si acquerellano di carne
trafitte da un’alba benevola al mio tempo.
Curve calcate di vermiglio
sono quelle che paragono ai tuoi palmi
rigonfi di doveri, croci per difesa
graffiti di vita mai seminati.
Accanto, l’appunto delle mie mani
schiuse nel latte della nascita
lisce ed estroflesse all’inchiostro
che più non riesci a deglutire.
Di cose assolute è piena l’aria
poche le certezze che puoi avere
come le ali di un gabbiano che passano di cirro in cirro, da mano a mano
giusto un accento che si posa e mi scrive
e tu slanci, traspiri il cuore
e nel riposo galleggi.

Piccole cose

Cielo a dirotto
la pioggia frastaglia
i passi che tendo a te.
L’attitudine è una falda in cui mi abbevero
ma il tempo porta il giogo
i gabbiani volano bassi.
Addestro la schiena su piccole, terrene cose
finchè tornerai trascinando i tanti trofei del mondo.
Una corona di foglie sassi, i tuoi denti nella notte
non vorrei essere nessun’altra regina.
Dopo tutti questi sogni
finalmente mi avvero.