Mi lasciarono

Lui mi lasciò
con la polvere tra i denti.
Era di stelle, masticai e seppi
come tornare allo zenith, per salvare il sole che sapemmo essere.

L’altro mi lasciò
con la cenere tra i denti.
Era del nulla, masticai e seppi
non fare domande
non farmi domande.
Chiusi le labbra. Digerii.

Di questo autunno

E di nuovo torno sulla strada
bagnata e corsa da ruote
impronte che mi sgranano sul catrame.
Ho pianto per tutta l’estate
la sento ancora nelle vene e brucia
come i muscoli nell’ultimo sforzo di guardare l’arrivo.
Sapevo che sarei stata
un crocicchio di vene a linfa sparsa
l’autunno passato attutì poco la caduta
e lesto dilavò il mio verde.
Le nuvole imbruniscono
l’acchiappasogni del vicino albero rintocca
delle poche ore di questo autunno.
Sfuoco la vista
nei colori dell’humus.

Giocattolo rosso

Eccolo qui, il mio cuore
circonflesso come l’onda che si protrae alla tempesta
genuflesso all’amplesso
e fesso, tante di quelle volte
che servono gli infiniti per contarle.
Il mio cuore, ferito da tre dita
intorno ad esse rimargina e si aggrappa
non si abitua ad essermi lanciato contro
e non ricordo chi per primo impaurisce.

All’insù

Il buio riluce
le nuvole si argentano
del primo amplesso di luna
morbida e pulsante di crateri
come io pulso di pori sfiorati
e mi inarco in volta rupestre
al tocco tuo di pittore.

Tiziana

Messa in un cantone
gli sputi sono acqua
ma se li prendi da vicino sono proiettili sul ventre
dici “cagna” alla femmina del cane
ma latrati di colpe mi sfondano la mente.
Angolo
Cantone
angolo
non c’è sfida, non c’è ring, non c’è replica
non c’è sgabello su cui posarmi e riposarmi.

SONO UNA DONNA INTERROTTA.

Assottiglio la pelle del cuore
una sciarpa intorno al collo
deve esserci una via in questo angolo
per tornare donna di me stessa.

Memorie di innocenza

Quando il cielo cade o viene preso a schiaffi
quando il livido mi succhia lo sguardo e fibrillo una via di fuga
qui, senza soluzione, penso all’innocenza.
Quella dei giorni di vita che sapevo i numeri per contarli
e avevo dita e fiato di pesche zucchero e vino
tabelline a cadenza di passi, quanti per arrivare a scuola
nonna col “tre per otto”, il cancello la campanella…
… anche oggi me lo aveva chiesto e avevo sorriso “ventiquattro”.
Piccole meringhe rosse erano fragole proibite
sfogliavo la crosta del pane per annusarne il cuore
la cioccolata saturava le impronte
e sulle labbra già sapevo del sapore che non torna.
Biglie, buche
ginocchia a perdifiato
erba terra
cadevo e succhiavo i mille colori del derma
innestavo saliva
ripartivo.
Biro smontate e rimontate
la molla era il nuovo gioco.
Ora che ho traversato campi di grano e papaveri
credo alle ferite avute
all’innocenza che fa con me quel tipo di amore
per cui mi guardo dentro e nel piacere volo
come fenice di luce.

Profuma d’acqua

La pioggia pigola
nell’endometrio delle mie idee
volto lo sguardo alla finestra e profuma d’acqua
tento il respiro con la stessa sua cadenza
ma in gola è diversa, come ogni cosa incipiente
che di saliva si abbevera.

L’apostrofo del vento

Nella ribellione delle foglie
che salutano rami di orizzonte
e spellano la linfa del proprio
… nella sciocchezza delle foglie
che zuppe di pozzanghera macerano sul marciapiede e preparano l’inganno
arriva l’apostrofo del vento
come la cerniera di una valigia
la chiudi e imbarchi al confino.

La causa

Comincia come un filo
un capello che annusi sul cuscino accanto
leccandone il calore per diagnosticarti in vita
e organizzare il funerale alla solitudine.
Non ascolti il fastidio di quei capelli nei tuoi occhi
glieli scansi dal viso per innamorarti ancora
non ascolti quando ti si annodano alla voce
e si fanno carotide che pulsa di silenzio.
Ogni tempo è tardi
i capelli argentano in catene
su braccia e gambe arrese.
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Quel lassù

Picchietta la pioggia e suona
di intervallo a ninnoli argentati
badati dal vento.
Ascolto e mi incolpo
vivo e percepisco
in faccia, di rimbalzo, le gocce
senza sapere se quel lassù mi guarderà mai
vomitare i miei temporali.