Povera di niente

Uno sfrido di vento
quel passo di passaggio
tra l’arrivo e la partenza
una roccia profonda nel torrente
che la sfiori ma non ci attracchi.
Nei frattali degli occhi
si decuplica il pasto della delusione
le tue ricette con poco sapore
e un servizio di piatti senza smalto.

Saremmo potuti vivere della mia sola bocca
denti per la luce
labbra come un letto
gola per i peccati.

Ma si sa, io sono materiale di risulta
e mai il risultato.

Esse-re

 

Smaglio la pelle
trapasso al tuo respiro
slabbro le labbra
per farti bagnare nel mio tetano
stessa sostanza del filo spinato che scrive sulle lacrime.
Nella spina dorsale hai martellato un ramo secco
sparsa terra sterile intorno
ma dall’isola che volevi ritagliare
sbafo in mille colori
e ti crepa la pietra rossa
per gli smerli dei miei petali
e ti crepita la schiena
sotto il peso del mio arcobaleno.

La bugia

Nella casa che non sapevo di avere
nelle stanze che non sapevo di avere
gettai una luce
nel camino che non sapevo di avere
gettai il fuoco
scorze di mandarini per iniziare l’aria di rituali.
Nessuno batteva la porta di legno
che marciva di ore mai spalancate.
Coccodrilli -da quale fossato?-
mi raccontavano il buono
delle stagioni che non sapevo esistessero
che ogni crosta è brutta
ma è vita per il pane
è vita per il sangue.
Alla prima briciola di vento mangiai la libertà
la bugia bussò
e non seppe mai la verità.

In mano la tua foto

Veglio
scricchiolii di vento
tra alberi senza futuro.
Il ghiaccio scalda lo sguardo
aspetto un inganno che salti sul letto.
Combatto le ossa e il loro midollo
che mi fa domande fino nel sangue
la mia casa è di foto che ti ritraggono
mai con la perfezione che conosco in te.
Bussano alla porta
non avere paura, sono le stelle guardiane del tempo
che ora si accorcia
e sono da te.

Come eri vestita?

Un disco rotto nelle orecchie
schegge di vinile impolverano le cosce
stai ferma è facile
coi tarli della paura che ti mangiano i muscoli.
Ti piace, eh?
due dita nel corridoio del piacere
vomito un bacio nella prima stanza che trovo.
Avevo un carillon di pizzo sui fianchi
in bocca un’onda dolce, di quelle
che dondolano il mare fino alle stelle
il rossetto denso come il cuore della notte
e labbra polpose di un vino assoluto.
Presa per il collo
mi bevi cieco
l’etichetta è un vestito sulla risacca.
Ero fatta
che contenevo solo amore
ora sono un coccio di assenza
per i desideri da galleggiare in mare.

Come volete che fossi vestita?

I vostri occhi sono serrande aperte
e le domande fanno troppa luce.

La scultura

Mi abbasso
appena sopra te
come fossi un ciottolo, a levigarti
le ansie che scorrono dalle narici alle ciglia.
Le scogliere che restano
le archivio nel congedo che facciamo all’amore
saranno pietra grezza a cui dare nome e storia
nel prossimo mare che vivremo a letto.

Non più

Di te non più lacrime
da strizzarci un cuscino
nella notte che non asciugava mai.
Di te non più parole
da usurarmi la gola
nella notte che non si realizzò mai.
Di te di te
neppure un grano della mia preghiera sconsacrata
ci perdo più.

Il passaggio

Acqua controluce
quanto brucia nei miei occhi che vedono
ciò che tu neanche immagini si possa guardare.
Acqua controluce alla mia carne
senza una diga a ripararmi il derma
solo sacchi di sale che hai cucito dalle mie lacrime
e buttato nell’anima che tenevo innevata
come gioia di innocenza, dove ridere e tornare bambini.
Controluce alla finestra
sgocciolo di tremore
parlo e mi riverso dentro al mio sorriso
le labbra che si irrugano ma stanno
alle intemperie agli anni alle pietre che mi hai sputato.
Sono un passaggio sempre nuovo
e di qui dovrai passare.

Fragilmente forte (La canzone di Paola)

Sono una forza estrema
atto unico gorgo alla vita
come un grano di sabbia che diventa sasso
nella bocca di Demostene, in urlo al mare calmo
come un gatto che si esaspera nella linea dell’agguato
e quando arriva alla carne la struscia di fusa
come il fazzoletto
che potrei strozzarci i fiori spuntati dalle vene
ma tengo legato in testa.
Fragilmente forte
vedimi così specchio, nei riccioli che mi tremano le dita
a lisciarli tra le forbici
vedimi così onda, nei passi appesi alle vertebre
e anche tu, fortezza, vedimi così
la chiave di volta ce l’ho dietro gli occhi
non ti perdo di vista
e ti smaglio.