Disposta a te

Ti amo
affacciata all’alba delle ferite
quando scarnifichi il Bello che per me sei
e svilisci il cuore
in congrega d’ossa.

Ti amo
mentre vivo a convincermi
che le distanze sono anatomie
con cui assemblano ponti.

Ti amo e cado
-centellinata carne-
nella stanza più emarginata del paradosso.
Eccoti, scambiato di culla
col tuo passato.

Esiste il nonostante
perciò ti amo.

Scoglio

Somiglia al disegno
tramandato di dito in dito,
indice che attracca speranza.

Casa.

Asciugamano strizzato
tappeto per la mia preghiera.

Asciugamano strizzato
salva da una vita di brividi.
Protetto da una cupola di tela
è ancora lontano il mio sogno.

Venti miglia mancano, al cielo.

Al monte

Gomena nitrisce
di sale stremata
ma ancora non paga la gola
arriccia la chioma
svilisce l’attracco e corre
a non sentire più le gambe
verso quel laddove che è perdizione
eppure di luce bagnato.

(Sennò non potresti accorgerti
che ti sei perso.)

Armonica

Aspetti tra le mani
che si compia il viso della musica,
come al primo bacio
lanci un sasso alla corsa del respiro
e in un attimo, col tramonto sulle guance
ritrai i piedi dall’onda che ti farebbe risolvere.
Ad occhi schiusi
carezzi vene sul metallo
e lui su di te sorrisi che non so contare
perchè privata di ogni ragione
accorro
selvaggia nota lungo la navata delle tue labbra.

Dendra

Dita
(radici a camminare terra)
dita
(rami a camminare cielo)
dita a rinnegarmi albero
dilatando nodi fino al convergere in corteccia.
Sto in apnea
dissacro il dogma della fotosintesi
per il gusto solo
di sentirmi in debito di ossigeno
dopo un tuo bacio.

Impara l’arte

“Impara l’arte, e mettila da parte.”

Pensa a queste parole Marco, guardando il nonno fisso negli occhi, nella tasca del cappotto la mano sinistra che si diverte a girare le piccole ruote di legno di quella macchinina dai colori ormai sciupati.

Quei pezzi assemblati con il filo di ferro erano stati il suo primo successo di artigiano in erba; sotto lo sguardo attento del nonno paterno aveva intagliato ogni parte, prendendo il gioco molto sul serio. Trascorreva nel laboratorio di famiglia tutte le ore che avanzavano dagli studi, e spesso dimenticava qualche compito, rapito da un nuovo barattolo di vernice o da cataste di legno dalle venature insolite.

Negli anni dell’adolescenza di Marco, un circo aveva preso l’abitudine di stazionare poco distante dalla fabbrica e avendo saputo dell’esistenza del laboratorio, i circensi vi facevano spesso visita per commissionare cerchi, birilli e piccoli trucchi da mago. Capitava che i giocolieri testassero seduta stante la funzionalità dei nuovi attrezzi,coinvolgendo Marco nel lancio delle clavette e in giochi di illusionismo. Quelle colorate e pacifiche incursioni erano rimaste impresse nel suo cuore per tutto il tempo in cui divenne uomo e imprenditore stimato; non era infrequente vederlo sul piazzale della fabbrica improvvisare giochi di abilità vestito di tutto punto e sentirlo ridere di gusto quando, distratto, perdeva il controllo delle clave o lanciava i cerchi senza mirare.

Si ritrovò un pomeriggio di fine ottobre a guardare controluce i colori dei giochi ammaccati dalle cadute e a tentare di ricordare da quanto tempo avesse avuto bisogno degli occhiali da vista; posò i giochi e girò su se stesso, osservando. Era riuscito a tenere la crisi fuori dalla porta della fabbrica fino ad ora, ma la resa era arrivata, le banche non concedevano ulteriori prestiti e i clienti non pagavano. La stasi, l’elettrocardiogramma piatto, erano arrivati.

 

“Impara l’arte, e mettila da parte.”

Pensa a queste parole Nicoletta, guardandola nonna fissa negli occhi, nella tasca del cappotto la mano destra che si diverte a dipanare un rocchetto di filo.

Era una bambina quando iniziò lo studio della danza classica, promettendo alla madre che il rendimento scolastico non avrebbe risentito delle ore dedicate a malleare il corpo a tempo di musica. Finiti i compiti, inventava bizzarre coreografie sulle melodie più disparate, perfino sulle sigle dei cartoni animati e, dopo i tentativi della nonna di avvicinarla ai rudimenti del cucito, si era appassionata nel riparare tutù e scarpette, ago e filo non mancavano mai in ogni suo zaino.

Iscritta all’università, aveva dovuto lasciare la danza e optare per discipline meno impegnative, ma la passione era sempre viva, e cocente.

Laureata, era diventata consulente aziendale, viaggiava spesso per lavoro senza mai dimenticare il lettore mp3, ‘il Grand Bazar’ lo chiamava scherzando, per la varietà di musiche inserite, dal repertorio classico agli ultimi successi pop.

Era riuscita a trovare un corso di danza vicino casa e l’ambiente le piaceva, anche se provava un pizzico di nostalgia nel confrontarsi con donne che stavano, come lei, rispolverando una vecchia passione, lasciata indietro per i soliti motivi, lavoro e famiglia. Col tempo le trasferte diminuirono e Nicoletta si rese conto di poter dedicare sempre più tempo alla danza. La crisi non risparmiò la società di consulenza per cui lavorava. La stasi, l’elettrocardiogramma piatto, erano arrivati.

 

Un tardo pomeriggio di ottobre, Nicoletta fece visita alla nonna. Si confidava spesso con lei e fissare quegli occhi le infondeva un senso di pace, come se il silenzio riuscisse ad ascoltarla. Aveva firmato la lettera di licenziamento e in mano le restava solo una laurea. Se ne stava seduta sul marmo, a carezzare ora la gonna del tailleur, ora i fiori.Iniziò a singhiozzare.

“Oggi proprio non va, eh?” sentì una mano poggiarsi sulla spalla.

Nicoletta si voltò verso Marco, vestito di un bel completo scuro. “Sono stata licenziata, una vita spesa a studiare, ed ora…mi ritrovo con un pugno di mosche in mano.” Marco forzò la presa e si rabbuiò. “Niki, stamattina ho spedito le lettere di licenziamento, a fine anno chiudo la fabbrica.”

“Niki… riesci sempre a strapparmi un sorriso, tu.” Nicoletta carezzò la tempia grigia di Marco, che le si era seduto accanto. Si erano conosciuti all’inizio della primavera in quel posto vegliato dal silenzio, mentre si prendevano cura dei rispettivi nonni che erano stati tumulati uno accanto all’altra, e appena possibile si incontravano per un aperitivo o un cinema.

“Voglio iniziare daccapo, sono stanca di questi vestiti che non mi rappresentano più, stanca di tutte le convenzioni in cui sono stata costretta. Sono davvero stanca, Marco.”

“Cosa sai fare?” le chiese. Nicoletta dimenticò in un lampo tutto il percorso di studi fatto, i corsi di aggiornamento, la gavetta in ufficio. “Danzare.”

 

“Impara l’arte, e mettila da parte.”

Pensano a queste parole, Nicoletta e Marco,guardando i nonni fissi negli occhi. Si tengono mano nella mano, nelle tasche dei cappotti un po’ sdruciti una macchinina in legno dai colori ormai sbiaditi e un rocchetto di filo per rattoppare i costumi di scena. Hanno rinunciato a quella vita che aveva chiesto loro di rinunciare alle passioni.

Nelle piazze delle città che visito per lavoro mi capita spesso di vederli esibirsi in giochi di clavette e passi di danza. Lascio sempre una moneta nel cappello di Marco e non c’è volta in cui non venga conquistata dalla più bella tra le luci, quella dei loro sorrisi. Di persone finalmente libere.

 

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“IMPARA L’ARTE” SI E’ AGGIUDICATO LA MEDAGLIA DELLA PRESIDENZA DELLA CAMERA DEI DEPUTATI AL XII CONCORSO LETTERARIO INTERNAZIONALE  “SAN MAURELIO” DI FERRARA.