Stare, non restare

Stai, non restare
voglio che tu stia, non che resti
in ogni mio sbaglio
e irragionevolezza.
Ho paura se resti, perchè hai pensato al viaggio di ritorno
acquistato il biglietto che ora accartocci
e l’imbarazzo delle mie orecchie che ti dice non era importante.
Se stai, sei
nato qui e senza premura del resto
per cui ce ne possiamo essere e stare al bordo del letto
gli alluci in otto infiniti
disegnare il pavimento con sciocchezze
seduti sulle nostre irragionevolezze.

Carta stagnola

E’ tutto labile
nel paradosso che mi porta a baciare
stelle di carta stagnola, cosicchè
tu possa trovare le mie labbra in ogni crepaccio.
E’ tutto un paradosso
sola non dovrebbe iniziare come sole
eppure così fa, mentre il sole scalda però
la mia solitudine è intercapedine sui nervi
giunzioni e ricongiungimenti non hanno una bussola
e tanto vorrei che questo fosse labile.

Tra me e me

Il giorno carnifica in tramonto
col mio corpo a piombo sul letto, senza indicare un tempo.
Io sono la mia origine
mai andata oltre il circolo venoso
figlia dei neppure
scricchiolata dalla solitudine.
Sfoglio lo sguardo passato lo sguardo futuro
e so di essere zero, inventata da poco
per fare tornare i conti al destino.
Le armi vere tacciono
furibondi di sabbia pirica sono i deserti
delle strette di mano e dei baci
è tutto intorno e nulla mi trapassa
costellazioni, amori… facciano pure
intreccio tra me e me un tendine e una paglia
il fiato è tiepido e brodoso
galleggio lo sguardo, dalla mangiatoia.

Lasciarti

A lasciarti
impiegherei più che la mia voce
a convincerti. Indugerei
sul tremito delle cosce
per distinguere il piacere dal pianto
nel saperti un’ultima volta.
A lasciarti in una bolla di vetro
ci metterei poco, in una bolla di vetro
che fa sempre stagione
e lì arriverei con gli occhi
a sapere che pur nella sua neve
a mangiarti come pane, ci sarai.

Un giorno torneremo

Un giorno torneremo
disseminati dalla mano del futuro
su campi che adesso urlano a perdita d’occhio;
torneremo spore e il vento riconoscerà le nostre voci
nel troppo tempo in cui ha inghiottito
la bava ferrosa delle bombe.
Un giorno torneremo
non importa sull’uscio di quale stagione, comunque
sarà Nascita. Arrotonderemo macerie
piangeremo una scheggia alla volta
la calce dilaverà in latte. Poi…
un naso di gommapiuma sarà la cometa,
il cuore della memoria appeso a tegole di stracci.

Nitidi
pulseranno placenta.

Il soldato O.

Bevo
il colore del caffè
in questo “non”
freddo e buio.
Il rimpianto se ne sta poggiato al tavolo
mi guarda, con l’attitudine di chi non teme il tempo
impensabile come un’ombra di luce assoluta
che dici non poter esistere, eppure lo fa. Mi guarda
senza avere nulla da dire da fare, ma solo da ascoltare.
Gli dico allora che percorsi fino allo stremo ogni cosa concessa
svitai i miei occhi e innestai altri che mirassero alla perfezione
fui sempre vigile agli agguati del corto circuito
educai il collo a stelo di acciaio.
Fui ciò fino a rischiarare la mente
disciogliere i sensi nel ghiaccio e riuscire a farne un fiore
quello che Lei ora tiene tra le dita, con l’attitudine di chi non teme il tempo
di chi non ha nulla da dire da fare, ma solo da ascoltare.

L’Origine

I fiori svelano l’autunno
nei passi di petali mai del tutto distesi.
Un bordo di pudicizia li increspa
il mio sguardo si posa e qui respira
l’indulgenza e la casa per il cuore.

In mano la tua foto

Veglio
scricchiolii di vento
tra ghiacci e alberi senza futuro.
L’acume di sensi scalda le ciglia
aspetto un inganno che salti sul letto.
Combatto le ossa e il loro midollo
che fino alle tempie mi risponde domande,
mi aggrappo al sangue e al suo respiro
ogni odore forte non va più in circolo.
Lenzuola! Spalle!
La mia casa è di foto che ti ritraggono
mai con la perfezione che conosco in te.
Bussano alla porta.
… non avere paura, sono le stelle
guardiane del tempo tra labbra e mani
che ora si accorcia
e sono da te.

Voglio scriverti

Si scuciono dalla mente
le parole su cui galleggiare in questa folta notte
di sanpietrini invece che di stelle
e di vento sulle labbra, invece dei tuoi baci.
Voglio scriverti nel tempo di adagiarmi al sogno
quando perdo ogni decoro e mi sfilerei dal corpo
come tortuosa vena, pur di farmi ricomporre da quelle dita
che sapevo e ora stanno a manciate di spazio da me.
Voglio scriverti in ogni occasione perduta
nei secoli che non ricordiamo e in quelli che scapperanno
a ogni ipotesi di futuro; voglio scriverti nella lingua delle lingue
un qualcosa fatto di pagine incolori e senza lettere
un qualcosa da lasciarti accanto a dove siederai
la costola del libro e tu che aspetti me, la costola
mancante per poterci chiamare casa.

Interminabile tutto

Il collo assorto
è ingranaggio che non mi appartiene
che scardino dalla fissità di mani giunte, mani
che stanno e non fanno, mani abrase nella cellula dell’amore.
Ci vuole coraggio
anche a farsi traversare dall’impulso
che rinverdisce i muscoli
che rinsavisce lo stare in vita.
Ma sono pazza ed ebbra
come quella cicala che spunta dal letargo
e a novembre canta
poco sotto la luna.