Al corpo

Viaggio dal passato
a cadenza di passi appena poggiati
come farei se tu fossi un pianoforte illeso
e ti parlassi gesti, prima che parole
gesti primordiali suggeriti dalla pelle.
Rimargini
quella che solo ora so nominare assenza
porgo i tuoi respiri e tu la mia dolcezza
al corpo che nasce
sotto il buon auspicio d’un bacio.

Profumi

Profumi
di cera persa dalle api
di quei segreti appena erosi dal sudore
dove il seno è succo di una notte a nutrire le stelle

profumi
contro l’alba che a fatica sporge il sole
controvento e controsenso al tempo
che vorrei starti lontano

profumi
da quei due piccoli capezzoli
che ti giungono gli occhi in lacrime
quando arrivo allo snodo del diaframma
e sento che dai fuoco alla voce dell’attesa

in sterpi e serpi coaguli la pelle
e non c’è acqua più dolce al mio inferno.

Della porta rimane uno spiraglio (la scena del crimine)

Della porta rimane uno spiraglio
un perenne subbuglio schiaffeggiato dai sogni
anche loro durati poco
perchè un mozzicone di violenza li ha bruciati.
Quanta confusione
su un letto offerto al palato dell’amore
non so se sia vino rosso o sangue
non so se essere ebbra o pazza
per aver respirato la saliva del diavolo.

E tutti questi pezzi
bicchieri frastornati
lenzuola di evasione
risate a denti rotti
si ricompongono sulle pareti
di una stanza che aspettava un papavero tra le dita
per colorarsi d’amore.

Della porta rimane uno spiraglio
i piedi della morta o l’orizzonte
ma sono arrivata troppo tardi
per scegliere il finale.

Tra le nostre rughe

Da una foto gli occhi riaffiorano
sistemano i colori di allora nella coscienza di adesso
un gatto si struscia a un pozzo
e imbianca la groppa, come le mie ciglia bambine.
L’arsura dei fiori d’intorno
il vento leggero sui miei ricci di grano
questo rimane, papà, tra le nostre rughe
sempre più simili
rimane il sorriso legato ai tuoi calzettoni
per tutto il tempo che ci sarà dato
di camminare insieme.

Le tue mani

Le tue mani di uomo si ispirano a una ciotola
nelle carezze che accolgono il mio ventre
girovaghi, aumenti il passo.
Mi annodo, ricoperta di girandole
per poi distendere le gambe alla luce del peccato.
Le tentazioni seccano la pelle
e bevo sulle tue dita
i colori in cui mi snodi.

I millenovecentonovantatre attimi di Veronica

Barcollo tra i flutti della droga
bevo respiro inghiotto per ostruire ogni poro
ogni orifizio, sennò c’entra
che sono disperato di te.
Due puttane si baciano sul letto
il diafano sui corpi mi tenta e terrorizza
vorrei leccarlo, sputarglielo via col mio seme.
Sui visi si muove troppa carne
mi acceca, rimango in poltrona
le zampe di mosca incrostate dall’alcool
le ali sbreccate dalle vertigini
sotto la tua figura muoio
tra le due lingue sono finalmente zero.

La luna fugge alla notte

La piega del collo attira la pioggia
sotto il mio vestito azzurro
il caldo della terra mi attorciglia le gambe
come calle che si abbeverano in cielo.
La luna fugge alla notte
inabissata tra girotondi di vento
e io non cicatrizzo, neppure col sale negli occhi
ma sto -carne rossa- e respiro
per sfida
a tutto questo infinito.

Sfumature

Amami
approfitta delle mie dita
nell’attimo in cui si fanno puro muscolo
dove il piacere ristagna.
Schiaccia l’aria colma i fiordi
fino a raggrumarmi le mani in branchie
per nuotare dalle lenzuola
all’isola chiamata universo.

Il ciclo di vita del piacere

Ho brama
di fare della lingua una vallata
stare ai tuoi crepacci come natura che attende le stagioni
insinuare nebbia sulla tua pelle calda
per vederci decollare un volo di nuvole, quelle senza il brusio
d’annunciare pioggia.
E proprio la pioggia, scovarmela addosso
fatta fiume a portarti, a mettere radici sulle mie labbra.

E più non governo il ciclo di vita del piacere.

Guardare nel cuore

Un giorno guarderanno anche dentro il mio, di cuore.
Spinti da vene irrequiete
non so cosa ci troveranno
non so se busseranno alla porta
di un monolocale o reggia,
neppure so se saranno accolti dall’indulgenza
o da unghie aggrappate alla maniglia.
Un giorno il mio cuore li guarderà
sfidando la luce che urla negli occhi
per cercare sulla tavola imbandita col buono
quella briciola sfuggita alla gola.