In terra

Il Cristo a precipizio
le macerie in abside
ascoltano nomi e cognomi arrivare e migrare
in pioggia. Un ombrello è per ora il tetto
le spalle unite i muri e a fondamenta
quelle gambe che vorrebbero ficcarsi in terra
ad urlare dell’uomo le sue radici.

Il mio maggese

Viveva il tempo in cui
non avevo bisogno del maggese
tra le mie zolle spighe di grano
che non solo pane sarebbero state
-dovevo saperlo, a vene nude sui pugnali.-
Terra e sole e sorrisi sopravvivevano al mietere
mi piaceva respirare le ore, anche se d’ombra
poi i rigagnoli d’aria smagliarono il cielo
lo misi agli occhi come memoria
del turchese che sapevo riposare
sotto al lenzuolo della notte.

Il ciclo delle cose

Trapela un filo d’erba
dalla finestra alla mia schiena
e in questa transizione di agosto all’autunno
poso spicchi di ombra su percezioni
incapace o indolente forse
nell’aprire il ciclo delle cose a quella pagina
dove, lo so bene, è spiegata la luce.

La corda in più

Quando ho una corda in più
la salto
quando ho una corda in più
ci metto su un pezzo di legno e altaleno
tra gli alluci una penna per scrivere sulla terra
che ho una corda in più
ci preparo una prigione
ora d’aria per gli eremiti
ergastolo per gli stolti.

La ballata della sobrietà

Il cuore, epicentro delle ore
è fermo a quelle due lancette
allo spazio che può starci in mezzo
(a scuola sapevo calcolarlo).
Tutto mi sembra stupido…
le mani perchè scrivono? Quando potrebbero scavare
allungarsi verso chi è stato seppellito dal destino
… e le mie fottute digressioni sull’amore? Se adesso
le spighe tra cui correvo sono campanili deragliati al suolo
i papaveri succhiano semi sotto la lingua, quanto vale
interrogarsi sull’amore?
A ossa chinate ringrazio il secondo
mi trascorre sul piede come una formica
che si porta dietro un petalo
e avverte il destino come stagione incipiente.

Immensamente (a Giulia)

Inzuppo lacrime nella colazione
la tua… ieri non c’è stata
solo stelle di porcellana franate addosso
senza via di latte
senza via di fuga.
Giulia, i capelli tra le macerie
sono pane tra la calce
la voce ferma di un uomo ti impasta
e tu lieviti al caldo del suo abbraccio
con gli occhi ancora slabbrati dal buio terreno
buio terrore
buio.

Le ore sorvolano
le ore, in picchiata, sciacallano
ma non te, un fiore fragile di immensamente.

La valigia nell’alba

Sdruccioli in strada su lingue di nebbia
che leccano il selciato e involano, rotte dai passi
di una donna.
Ti ascolto
confusa all’intercalare del netturbino
che fischia la sua alba tra il silenzio,
sei pesante come una porta lasciata alle spalle
quando la mente dice addio senza più sgranare gli sbagli.
Incerta, forse riposi
la schiena sul muro umido
e lei accanto, a piedi scesi senza pentimento
accende una sigaretta
si accorge che tutto rischiara.
Non quella finestra
un amante sul letto
una fontana senza oboli al futuro.

Dai miei occhi

Dai miei occhi si vede il mare
-le mie ciglia, ora ringhiera ora scogliera-
dai miei occhi si vede il mare
-goccia a goccia, ora lacrima ora sensazione-
dai miei occhi si vede il mare
-il collo, che dà il verso al piacere o attracca la tua salsedine-
dai miei occhi si vede il mare
-sali e finiscilo sul mio corpo-.

Cortile lontano

Tornerà l’inverno
a tempo veloce e pungente come il fuoco
che nel tuo camino raggruma una carta da poco.
Osservi.
Ripensi…
nella notte che ombreggia e latra
il tepore del whisky ti irrancidisce il gusto
legna e tabacco ti annusano.
Non so dirti quanto varrà alzarti
quanto varranno gli occhi di un cane
a seguirti dopo la porta
che apri e corri perchè sto scendendo
neve
in una bolla di vetro
sul mio cortile lontano.

(Di)spera.

Alessandra

Il sole irradia le mie strade
sottopelle sento l’andare e il venire del mare
che nebulizza al bacio di ogni goccia e si lava
come invece non fa il sale tra le pieghe della bocca
per cui mordo e sto nella mia gola
saporosa.