L’avvento della cometa

Esiste quel tempo che guarda in terra,
alla maniera di una spirale sofferma le iridi
su zotiche rocce rugose di catastrofe.
E mentre muri di carta da parati
cingono un presepe da fare e disfare
altre mura arroccano paesi sulla dimenticanza.
Tragitti senza più vicoli di caldarroste
senza pane, caldo per le mani che lo hanno impastato;
sedie impagliate e panchine sfumano nella bruma del terremoto
sono come un corpo sfitto di sangue
che pure, sta.
Senza il giornale della domenica
coi titoli di cronaca che fanno da sacchetti
a bottoni, viti e bulloni
senza le risate a calciare un pallone
e un filo di seta bigio che scivola dalla crocchia e incruna l’ago
come farà quel tempo che guarda in terra?
Ci vorrà l’avvento della cometa
gli occhi soffici di muschio di un bimbo
che drizza le ali sulla capanna e cantica
“Gli angeli ricostruiranno il mio paese ancora più bello”.

L’idea che ho del rosa

Il ginkgo ingialla
un canto fuori primavera
e nuvole tramontano un poco meno
in questa idea che ora ho del rosa
come un colore non proprio sciocco
forse l’iperbole alla mia pelle e alla tua lingua di iniziazione
che, tremule, cromatizzano.

Appesa a un fiore

Non vorrei arrivassi
quando il cappotto mi trema di respiro
per questo imbizzarrisco le gambe
in riccioli da fare imparare al vento.
L’attesa è una transumanza di gesti
pudori sentimenti a moto perpetuo,
passi alla rinfusa mi annebbiano
ti voglio e mi volto
sosto le labbra sulla tua postura
che sembra rimasta appesa a un fiore.
Proprio lui, ora, mi sorregge.

“Lei”

A orme ferme
sono arrivata al mare
solo, il cipiglio di piccole onde di legno
e baleni tra le nuvole
mi hanno ansimato il cuore, quel poco
che serve a ogni crisalide
per sentire luce
e paura nel volo.
Il sale sferza ogni profumo
della memoria che percorro e di cui scriverò al domani
ma nulla è così feroce, per lacrime e carezze,
come il saperti a pochi gesti da me
lasciarmi libera
sul davanzale del mare.

Solenne

Sono il profumo dopo l’arcano
e tu un mantello attraverso i secoli.
Le stelle proiettano lumi di riverenza
nella coppa della vallata: assaporala
poi baciami, e sarò crinale tra le tue dita
nel solo versante in cui soffia felicità.

Di risveglio da…

Affiora pelle dal mio cuscino
il solletico dei tuoi capelli
dal mio cuscino
il tuo respiro anche
dal mio cuscino
e più non saprei in quale corpo ci siamo incontrati
se non fosse che il soffitto gira
l’aria mi guarda
sento le ossa
e questo non vorrei.

La giungla di Calais

Non c’è natura
se non disumana
in questa giungla di liane
che altalene non sono ma spostano luce
da una lampadina all’altra
da una tenda all’altra;
non c’è il sole in questo luogo-tempo senza spazio,
a cadere tra i rami è il piscio di uccelli dimenticati pure dai libri.
La giungla ruggisce a gengive ritratte, per quanto hanno urlato pietà
ruggisce con occhi in cui non ti vedi ma ne percepisci i passi
febbricitanti
come chi sta di guardia aspettando la morte.