L’attitudine delle spine

Il bocciolo sa che nulla è per sempre
e che il sempre non si avvera mai.
Apre uno spiraglio pei raggi affilati dal sole
si predispone all’ora migliore, quella dei petali concentrici
così stretti tra loro da fare pulsare la linfa.
Il vento è l’improvviso
una carezza che aggiunge vita al sentirsi in vita
rimpolpa le spine come la pancia di piccoli cavalli meccanici.
Il vento ninnola parole arcaiche
terra fiorente su cui il fiore correva
nel tempo delle sue gambe carnose,
il vento carezza e stringe a sè
l’attitudine delle spine.
La prima mela cade e si spezza, bacata da un teschio
tante altre immagini di distruzione
accelerano gli occhi
finchè il vento liquefa in goccia di sangue.

Un petalo la copre appena.

Il bocciolo sa che nulla è per sempre
ogni colore riprende il suo trono
la rosa schiarisce nel corpo di donna.

Ora sai

Ora sai, i tuoi occhi fanno dei miei
un dissennato mare
che sperpera i giorni
appuntandoti tra i capelli di un’onda
per poi sollevarli e da lì scoprire la sabbia
come il vento la debba assecondare nel suo andare e tornare
sperando di poterla stringere a sè.

In fondo al sogno

Non ho paura di salire in un sogno
una mansarda appena dipinta
di colori assoluti. Granelli di stelle
nella scia setosa di un ragno; vedi, amore
è il tappeto elastico dove gioca il cielo,
perchè mai arrenderci?
Impuro di tarli il legno scricchiola
le incertezze infradiciano il profumo di casa;
ma quante dita abbiamo
per districare i nodi, e attraversandoli
correre insieme e perderci insieme?
Non ho paura di scendere in fondo a un sogno
come in quella sera di salsedine dove fummo possibili e belli
e nel braccio intrecciato al tuo eravamo ore e minuti
di una luna meccanica.
Non avere paura, che sia di salire o scendere
un sogno non è pianeggiante, non potrebbe esserlo
perchè gli dei lo crearono da una costola del cuore.

Nel buio di Goutha

Bitume, in cielo.

So che è il cielo, me lo indicò qualche voce antica.
Le nuvole sono corpi dispersi
tra un giallo e un bianco, neoplasia della pace.
Che albero potrei essere
se i miei frutti sono questi
glabro di foglie e costretto a una bandiera
di stelle incredule, di strisce nel sangue.
Che albero mi hanno fatto diventare
strappandomi le vele perchè non ci sia altro viaggio
altro obiettivo oltre all’inferno,
non quello cantato nei libri
non lo spauracchio parlato da bocche sacre.

L’inferno che hanno inventato per me, questo mi stride le tempie.

La leggerezza delle api

Non so che voce hai
quando il tuo sorriso parla
non so come i ricordi giochino
a incresparti gli occhi.
Invidio la leggerezza delle api
quelle ali piccole e operose
che invischiano il tempo
nella cruna del miele.
Così vorrei esserti, dolce
a tessere la dote
che primavera spargerà in cielo.