La partenza che ne resta

Riconosco il tuo viso
fra tutti i connotati nati e da fecondare
le iridi che srotoli per contare la distanza
fra dove mi cercavi e ora che mi hai trovata.
Imparo nuovamente i baci che sai darmi
a mia immagine e riverbero, che mi proiettano donna
su ogni partenza che sarai
donna che stringe le meningi alle tue labbra
china sulle tue premure
donna che si profuma del tuo fazzoletto
per avere salve le notti
e il buio, disperarlo via.

Un po’ in preghiera

E’ in lune come queste
che alito la bocca al cielo
un po’ in estasi un po’ in preghiera
per le ore che avemmo insieme.
Buio o luce, non ci importò incastonare la stella polare
non ci importò coltivare la rosa dei venti
perchè eravamo aura e nei baci suggellammo due ampolle
dove, interminati, facemmo tempo.

Figure

Uso il nome della causa per quello dell’effetto
il nome del contenente per il contenuto
della materia per l’oggetto, così come del simbolo per la cosa designata.
Quando ti dico “Ti amo”
uso il nome dell’astratto per il concreto
e il nome mi carnifica dentro, più non capendo
se nel mangiare nutro l’esofago
o le tue vene.

L’antico

Ti pregavo nelle stelle
in ogni simbolo che avesse un’altura da scalare a sensi nudi
stringevo tra le labbra la terra trincerata addosso
granelli più potenti di me che ti cercavo senza saperti.
Capocchie di spilli in riti wodoo meteore tempo nella clessidra
l’antico era in ogni iride retroversa
da infinito mi rannicchiai in retta
… segmento
… punto, e mi lanciai dalla bocca che avevo ancora
verso la tua pelle ignota
una goccia di magma
quietato proprio lì, nell’appena sotto.

La passeggiata di Patricia

Sono stata amata anche stamattina
mentre passeggiavo tra la natura indulgente
e lo stesso sciocca arida presuntuosa, come l’umanità
che ti sfiora nella fretta e tu ingoi e solo poi assimili
occhi pieni di buio e passi leggeri di luce.

-Adoro dire cose che non servono a niente-.

Simboli

Il gusto di una panchina
era di ferro o marmo, prima di te.
Baciata dal sole, certo
profumata col giornale della domenica, certo
probabile epicentro di bambini che si rincorrono
ma priva di quella grazia concessa solo dalle nostre dita,
una voluta o un fregio perchè l’opera si compisse.
E quando fu di scuotere le membra e ripartire
disegnammo gli infiniti sulla materia
e facemmo di sciocchezze la nostra beatitudine
d’accordo col tramonto che tutto sopisce.

“La scatola dei ricordi”

La scatola dei ricordi
rimane sempre un po’ aperta
al vento sottilmente umido che svolazza lembi
e suggella foto al cuore.
Quante lacrime fa…
non le hai smesse mai di piangere
ma ora il gusto ripesca in gola
il tepore di biscotti e cose semplici.
Rughe lentiggini
tempo di carta sotto le dita ferme
è il respiro il focolare che scalda ancora
e stasera allarghi le braccia su noi due
il sorriso sull’uscio lo sguardo di chi è a casa.