Stessa radice

L’amicizia inizia così
a ed emme,
illude la bocca protesa all’amore.
Inizia così l’amore
per a ed emme,
inonda la bocca che vuole solo amicizia.
Amicizia, Amore
nella culla della terra
hanno le stesse radici.
La vita impone l’addio.
Condanna è specchiarsi ogni giorno
nella corteccia dell’altro,
è sentire le braccia dell’aria
come ostacolo sul petto.
Se il dito del Destino
coraggiosamente sbava il lascito di Madre Natura
dalle cortecce si affacciano
tentativi, finestre, aneliti
e già sono chiome intrecciate.
La distrazione di un attimo
ci fa abbandonare tempia contro tempia,
aemme giunto ad aemme,
Am-icizia
Am-ore.

Tra le stagioni

Vorrei tacessero le foglie
dal chiederti sulla pelle
e il cielo la piantasse
di appuntar lacrime alla finestra.
Ho preso a calci la risacca svogliata
perché rimarginasse
il cammino dei nostri mondi,
rotti cristalli di neve
perché non edificassero muraglie
ad abbracciare ricordi.
Dita indecise
tra il volere ed il riuscire
soffocano una margherita.
Gocciolano rivoli di colore
e sono presto vene
in corpo all’arcobaleno.
Abbagliate le tempie
delle mie intenzioni
dovrò aspettare il prossimo
passo falso tra le stagioni.
Per salirci e non pensarti più.

Il corpo che non basta mai

Mannaggia al corpo
che non è mai abbastanza
per farti da corteccia
contro le intemperie.
E le dita
che non bastano mai
per intrecciarti le ciglia
così da non vedere il dolore.
Due gambe non bastano
a portarti via da un chiodo fisso
se le lacrime a terra
sono oleosi tranelli.
Libero il singhiozzo
che impreca nel petto,
vorrei ricacciare la tua pioggia
fin nella gola del cielo
così che le tue guance
si scaldino non per il bruciore
del sale, solo
per le mie carezze.

Come un lago

Luna, come un lago
cangiante dietro la tenda lattiginosa.
Con un desiderio scosto
le tenebre, perchè al mio sguardo
sia indicata la via del futuro, tra mari e crateri.
Con un dito dissipo
le incertezze sulla tua guancia
forgiandole nel filo
cui mi aggrappo, nel viaggio
verso la tua spalla.
Questa non è pioggia
ma il sipario che si liquefa
al cospetto di Noi.

Il sogno che siamo

Siamo un sogno
irrealizzabile, un’alba
e un tramonto che
si spartiscono il cielo
con un bacio.
Un sogno noi
scappati all’egemonia
di giorni diventati dischi,
incantati sul refrain.
Siamo un sogno svegliato
il presente che grandina sul passato
olio che scivola sul miele
senza cuciture tra i fotogrammi.

Chiara, Francesco

Sono Chiara
affacciata alla vallata della misericordia
sfiorano i passi del viandante
i miei petali intagliati nell’arcobaleno
traslucide lacrime consolatorie.
Ed io Francesco
aggrappato al cornicione di una vita dissoluta
ripercorro a ritroso quegli stessi passi
fino all’origine del peccato.
Eppure ti ho innanzi come Chiesa
immutata al passaggio di intemperie
certezza di ristoro per tutte le esistenze.
Ce ne stiamo qui
ai margini opposti del mondo
come due culle, l’uno per l’altra.
Finiti di edificare da albe e tramonti.

Il becco della gelosia

Stillicidio di attimi
è il becco della gelosia.
Rintocco sulla pelle,
bussare nelle viscere del cuore
di attimi che scorrono solo per te,
mentre le mie dita premono
le tempie, scavano nelle idee
per innalzare la campana di vetro
in cui liberarti.

Il faût – bisogna-

Aggirarsi tra gli scaffali
curiosa, carezzare spigoli e dimensioni.
Il faût – bisogna.
Incerta sull’estetica
scelgo, valutare l’esatta dimensione del sé.
Il faût – bisogna.
Collisione tra passato e desiderio
immagino, incidere l’involucro con l’unghia surrogata a coltello.
Il faût – bisogna.
La colla è rimasta al suo posto
avrebbe slegato la perfezione del nostro abbraccio.
Era necessario.