Tempo scaccia tempo

Sali in macchina.

Hai valicato il confine

fra l’Essere

e l’Essere Stato.

Ti guardo andare via

lungo una strada

lastricata di anni.

Tra le mie dita

c’è ancora l’umore

delle tue rughe,

delle tue esperienze.

Il sole rifrange sempre

nei tuoi occhi

e nell’intorno

sai di resina d’albero.

Ti scorre

fra i cerchi concentrici

della tua vita,

lenisce il bruciore

dei rimorsi,

dell’Incompiuto.

Custodisco

questa istantanea

per corrompere il Tempo.

Che colmi

l’assenza di te.

Tic. Tac. Battere. Levare.

Tic.
La solitudine di una lacrima
espande i confini
di questa stanza,
sgrana il ricordo di te
come una foto sbagliata.
Tac.
Il sussurro delle lancette
mi culla,
è il ponte levatoio
sul mio castello di fantasie
che riguarda noi.
Bat-te-re.
Le-va-re.
Sillabe che frustano i denti.
Gioia e dolore
di questi ultimi anni.
Sei il deus ex machina
che tiene in pugno
l’aritmia del mio cuore.

Fuori e dentro di me

Buio. Sul palco e nell’Anima, il buio dell’attesa.
Luce, colore di ambra, scalda il cuore.
Musica, mi esplode tra i piedi
le offro il petto
èntrami dentro musica,
io, la tua cassa di risonanza.
Sfioro le quinte
nel Tempo della Consapevolezza.
Solo respiri,
respiri e musica all’unisono
per un tempo infinito
effimero come un secondo.
Premo sulle tempie
forzo gli argini
invado la scena
esondo.
Pura gioia,
l’arcobaleno di sentimenti
scioglie il mascara,
un rivolo nero
su guance e cuore.
Ogni passo una frase
un urlo muto che mi percuote le membra.
Occhi rigati
da sangue e lacrime
sono il manifesto
del senso
di una vita
che arde
e che graffia l’attimo.
Negli applausi si specchia
il mio infinito sorriso
a chi mi ha risvegliata
e portata per mano in un sogno.

Saliva

Fecondi la mia saliva
con la tua.
Questo ricco patrimonio genetico
è troppo
anche per le mie labbra.
Un’allucinazione il pensare che le nostre vite
si incrocino
e si fondino
in uno spazio così ristretto,
le nostre bocche.
Riflessioni serrate sui denti
per non soccombere
all’intreccio
di noi.
Impossibile dire
dove finisca il mio corpo
e dove cominci il tuo
se il culmine della passione
ha fatto della mia pelle
un letto di fiume
permeabile
alle emozioni del mondo.

Cemento nel grano

Una rotatoria
piovuta dal cielo
sporca la campagna padrona.
La fine sfuma nell’inizio
come il tuo destino,
Nera,
gettata all’angolo di un cerchio
la tua vita non si accorge di te,
tu, mimetizzata nel nulla.
Una sedia barcollante
intrisa dei tuoi umori
rattoppata con calze
da un centesimo;
nella mente di chi ti compera
vali ancor meno.
Il nostro sguardo sul mondo si incrocia,
il lunotto della mia auto
è il tuo recinto,
non faccio in tempo
a lavarmi la faccia
dallo stupore di un bimbo allo zoo.
Vedo noi due
come animali liberi
sedute ad un tavolo del centro,
risate e sorsi di tè
dipingono il mio film.
Ci pensa il lampo negli occhi
di chi sta guidando quel trattore
a castrare
la mia immaginazione.

Bollettino dei naviganti l’Arte

Noi. Piccoli Artisti.
Proiettati dagli uteri delle nuvole
come nuclei di pioggia scrosciante
nell’oceano dell’Arte.
Il destino ci ha regalato i remi,
la passione ci indica la Stella Polare.
Ed ora tocca a noi navigare a vista.
La Danza
è la prua e la poppa della mia barca,
il sesto senso burattinaio
che governa gli altri cinque
riconosciuti dalla scienza.
E’ la colonna vertebrale della mia vita,
polo centrifugo e centripeto,
dà impulsi e ne pretende.
Il mio udito
tatto
olfatto
gusto
vista
sono figli preziosi e rispettosi,
chinano docili il capo al suo cospetto.
E la Danza, madre e matrigna
li accoglie in seno
non per regalare nutrimento
ma una morte dolce.
Sciolti in un abbraccio
finiscono nel mio bicchiere,
medicina che non mi sazia mai.

Arreso. Vuoto a perdere.

Mi hai risposto con le mani sopra la testa.
Arreso.
Un vuoto a perdere risucchiato dalla Fossa delle Marianne.
Un contenitore senza contenuto non può dirsi tale.
Ti ho sentito scisso dalla tua interiorità
come una bottiglia senza il suo messaggio.
Sei la tomba corporea del tuo testamento.
Mi hai insegnato ad osservare
ma ora mi lasci nel backstage
mentre ti ritiri nelle tue segrete.
In questa telefonata
non hai voluto viaggiare con me
ho alzato le spalle, non mi sento a disagio
se la mia allegria quasi ti infastidisce.
Ecco perché preferisco la buona solitudine,
i passi a due creano dipendenza
e la distanza è osteggiata
da un cordone ombelicale che sanguina.
Nel sistema di disuguaglianze fra dare ed avere
tipico dell’Amicizia
oggi c’è una sola uguaglianza,
quella fra il tuo silenzio e la tua indifferenza.
Sarei voluta entrare nella fibra ottica
fino alla tua fibra
per scardinare il tuo cardine
di badare troppo a te stesso.
E lasciarti solo i petali imperfetti
strappandoti i doni di Madre Natura,
Narciso,
tanto per vedere
come ti guarderebbero
gli occhi del mondo.

Passo dopo passo

So per certo che l’amore
è la coreografia più impegnativa
della nostra vita
e che si costruisce nell’anima
passo dopo passo.
Un passo per ogni giorno bagnato dall’indifferenza,
perché ho capito ciò che ho perso
solo quando ho saputo apprezzare il presente.
Un passo per ogni telefonata inaspettata,
che ha trasformato un giorno anonimo in un momento speciale.
Un passo per quel giro di valzer
impresso nelle quinte di un teatro,
sul tempo delle nostre incancellabili risate.
Un passo per ogni maggio
che ritorna con la sua pioggia
a fare da inchiostro alle tante promesse.
Un passo per tutte le volte in cui la tua voce mi è sembrata inutile
perché mi sono affidata alle parole scritte nei tuoi occhi.
Un passo per ogni abbraccio ricevuto,
rifugio del mondo in cui amo perdermi
quando devo ridare il giusto senso alle cose.
Un passo per quando sono stata a cinque minuti dal tuo cuore
e per quell’unica volta in cui l’ho toccato.
Un passo per ogni lacrima che ti ho asciugato
e che ho saputo trasformare in un sorriso.
Un passo per quando le mie mani ti hanno chiesto di fidarti di me
e tu sei restato.