Estremarazio

Non ne esco, stavolta.

Perlomeno non viva.

Il DJ lì in alto

sckretcha sul pallottoliere

che ho finito le possibilità.

Mi appiglio

all’idea

di implodere in te.

O magari ibernarmi

nelle tue ossa,

provvisorio sarcofago.

Se però bari

e mi porti nel cuore

sarai tu a soccombere,

vittima

di un maldestro

esperimento

di criogenetica.

L’unica via di fuga?

Chiedere all’Architetto

una piccola

variante del prossimo progetto,

nascere senza

quel magma pulsante

nel petto.

Cosa rimane

Cosa rimane
del frastuono
di silenzi
che si intromettono
tra occhi sorridenti.

Cosa rimane
di te
nelle mie rughe di vita
se neppure
il mascara waterproof
ha resistito
al cotone abrasivo.

Cosa rimane
di due sere da sogno
se catapultate
nel reale
sono più sbagliate
della pece
sulle mie scarpe col tacco.

Cosa rimane
scendendo da questa altalena
se l’hai giocata
con i piedi
sempre in terra?

Solo fango sul cuore,
ecco cosa rimane.

Non vedo alternativa
al cauterizzare
le emozioni.

Danzare è una scrittura

Danzare è una scrittura.
Qui
tra cielo e terra
il corpo è un tramite.
Mani e piedi
ambasciatori
di quanto male
può esserci in cielo
di quanto bene
c’è sulla terra.
La pioggia acida
sporca la pelle
di sudore amaro,
smuovo la terra
ed il fango che ho dentro,
evaporano fin lassù.
Danzare è una scrittura
infinita
come l’otto
che il pattinatore
intaglia sul ghiaccio.
E’ una sequenza non casuale
di alfabeto ancestrale
che mi cola nel derma
ed ancora più dentro.
Grimaldello sui generis
che forza
il mio DNA.

Soll(i)evo

Sembro una moderna

Madonna,

braccia forti

ed aureola in terra.

Siamo un’originale

Pietà.

Il plagio, al massimo,

vive nei muscoli

scolpiti dalla fatica.

Protagonisti

a breve conservazione

di un presepe scaduto.

In un attimo

il tuo braccio

cambia la scena;

aliti sulle mie spalle

le vesti della Maddalena.

Bagnate

del tuo sudore

privo di ogni freno.

Sembra una partita a carte

imperitura.

Tra sacro e profano

nessuno dei due

fa mai scopa,

nessuno dei due

ha voglia di tornare a casa

con la certezza di sè.

Millespilli

Come faccio

se ad ogni incontro

dai il nome dell’addio?

Come faccio

se, affamato d’amore

stipi

il mio cuore

come una dispensa.

Dentro

foglie secche

ghiaccio

gramigna

sabbia,

scatolame

per ogni stagione.

Come faccio

se ho il cuore

crocefisso

di spilli,

nota distonica

nella partitura natalizia?

Aspetto che soffi

su questo caos di crune

e con quel briciolo

di divinità

che ti rimane

le spazzi via.

Regalami

la danza

delle spore di soffioni.