Il coro

Nella geometria priva di gravità
note emergono da fogli di canto angelico
volteggiano lungo radici di architettura
trasmigrano in luce
secondo il dettato delle guglie.

Si accende col cielo
la culla di pietra.

In cucina

Il mento sulla tua spalla
guardo le acrobazie del polso
e un po’ guardo te.

Impronte sulla bottiglia
chicchi d’uva fiorenti
sulle tue labbra.

Fai di queste magie,
mescoli il sole all’aceto e crei il tramonto.

Baci. Strofinacci.

Strofinarci.

Scoglio di terra

E’ un punto lontano
dove il mare si ammassa in roccia
somiglia al disegno
tramandato di indice in indice.
Casa
speranza
tappeto per la mia preghiera,
protetto da una cupola di sole
il sogno è ancora lontano.
La pancia stride le sue poche assi
e sgrava.

Quante miglia mancano al cielo?

L’inseguimento

Quando alzerai le gambe
a scrollarti di dosso le ombre
quando ti strapperai la vista
e i lacci della mente per dimenticare
io dormirò, ma non le mie fattezze
più dense della tua bile ti porgeranno un cucchiaio
alle narici, perchè è troppo facile capire il dolore dal gusto che ha.

Dispera.

Qualcosa di angelico

Il sigaro ritrae la pelle
ti brucia tra medio e indice
come la fissa indolenza di un faro.
E’ un attimo ipnotico su cui non so galleggiare,
mi inarco e annego nel peso dei tuoi pensieri
che non mi guardano, ma tanto basta a sfumarmi
in qualcosa di angelico.

La porta sul mare

La porta sul mare
ha per maniglia uno scoglio
l’unica cima a spiraglio dell’equilibrio
che cerco eppure rinnego, lasciando il cielo in pasto ai cardini
e assottigliando lo sguardo finchè non diventi azione,
sogno di primitivi sentieri,
il mio risveglio nei tuoi occhi.

Quei sei o sette punti

Avrò quei sei sette punti
deve essere come dici tu
perchè intingi l’indice nel mio respiro
lo posi in quei sei sette punti
dove la pelle si snoda in angoli
e mi piega come una barchetta di carta
che cerca nei tuoi occhi quei sei sette punti
in cui non si tocca ma dove so rischiare.

Quadro storto

Tratti le mie vene come il muro della camera
quello dove appendiamo quadri e il fiato dell’amplesso.
L’equilibrio del chiodo non ti soddisfa
concentri le ciglia sulla pelle che mi altalena i sensi
e ora sai che delle nostre geometrie sono la variabile
sghemba
che strappa ogni soluzione.

Mi lasciarono

Lui mi lasciò
con la polvere tra i denti.
Era di stelle, masticai e seppi
come tornare allo zenith, per salvare il sole che sapemmo essere.

L’altro mi lasciò
con la cenere tra i denti.
Era del nulla, masticai e seppi
non fare domande
non farmi domande.
Chiusi le labbra. Digerii.

Di questo autunno

E di nuovo torno sulla strada
bagnata e corsa da ruote
impronte che mi sgranano sul catrame.
Ho pianto per tutta l’estate
la sento ancora nelle vene e brucia
come i muscoli nell’ultimo sforzo di guardare l’arrivo.
Sapevo che sarei stata
un crocicchio di vene a linfa sparsa
l’autunno passato attutì poco la caduta
e lesto dilavò il mio verde.
Le nuvole imbruniscono
l’acchiappasogni del vicino albero rintocca
delle poche ore di questo autunno.
Sfuoco la vista
nei colori dell’humus.