Il vicolo

Globulo.

Raggrumo d’asfissia sulla tua guancia
sopendomi alla fermata di una scheggia d’ossigeno.
Sei quel dolore lancinante
che tratteggia la privazione
un segmento alla volta, senza mai terminarla.
Cucirei le dita nei palmi
a togliere il prurito di carezze che sbocciano
nel qui inopportuno
(un luogo voluto dal caso…ma non è il caso).
Rovescerei le labbra nelle guance,
con l’oscurità che benda il volerti assaggiare
nell’ora inopportuna
(il mantello del tramonto è ancora friabile).
Ammansisce l’incertezza,
al guinzaglio del mio braccio teso
strattono carezze e baci, e vittima
è la schiena che blatera sospiri
contro una casa.
Gemmano le vene
di un cobalto per cui al cielo non resta
che imbellettarsi di rosso,
mentre ti amo
e tu mi ami
qui e nell’ora di un vicolo,
capillare nella città.