Durante i secoli

Brividi di tempo
m’increspano le palpebre
più volte, nell’ora che immolo al giorno
per liberare gli anfratti
della storia che fummo,
stropicciandoci contro
il confino tra dorso e palmo
e fare scrittura
della storia che siamo.

Il ventre solo
sembra conservare memoria
di quel sovrano dal perlaceo sorriso
e della sua regina che danzava nei gesti.

Correva l’anno di un campo di grano
svogliato nei limiti
regno di spighe allattate col sole
di carestie sfugate al semplice tocco di carezze.

Ad ogni uguaglianza di luna
il ventre ricorda lo scempio vermiglio
un lampo, una fitta di membrana
dita senza più abbracci
fra il re e la sua regina.
Singhiozzi che spargono sale
steli di spighe come pugnali
a crocefiggere il destino, ammantato di cielo.

Durano i secoli, anzi perdurano
il sorriso del re marcisce al patibolo
la regina graffia di urla
la suola del ricordarsi correre
su quel campo di grano.

Nella polis battezzata eterna
inciampa poi l’imbrunire
di un giorno chiamato qualunque
ma il fuoco caduto trova pertugio
nello sguardo d’incontro fra un uomo e una donna.

Da lì, la quiete del sole
innalza sempre due corone
perchè il buio, il fato
ed ogni cosa nominata privazione
non faccia smarrire ai sovrani la foce
del prossimo mondo da cavalcare insieme.