La donna del violino

È un vestito
a mare amaro, una seta fitta
quella che scuote la pietra sotto i piedi

dal vicolo della musica
tu mi arrivi alle lacrime
all’angolo dove avrei voluto essere dimenticata
dove ho lasciato la parte di cuore che fa troppo male

e scocchi note verso i miei occhi
che ti raggiungono, a gradini svelti
abbracciando la pace che si è fermata
tra le pieghe della gonna.

Le onde che quell’uomo sputò sulla mia schiena
spariscono in boccate d’indaco.

La tua sostanza

Scendo a piccoli passi
profumati di un prato che aspetta le mie stagioni bambine

scendo nel soffio che sorridi sotto la mia gonna

scendo ancora
nel verde di placate acque stendo i petali
un abbandono alle tue braccia
nel farmi ninfa, a galla sulla tua sostanza.
E qui nulla è più fondo del sogno
quando non tocco il pavimento annuso le pareti
in cerca di come guardavi l’amore.
Ho vertigini lungo i polsi, in circolo
l’incesto di un precipizio.

Respiro, a galla sulla tua sostanza.

Il pianeta

Non basta contare
per dirti le volte
che la cima dell’amore
è stata una piccola morte

non basta sanguinare per resistere
fino alla tana ritagliata negli occhi

e così mi sono arresa al piacere
un coltello gentile che mi ha incisa la pelle
nella maestosità di pianeta.

Pertugi luce

Non c’è più niente che io chieda all’assenza
non il pericolo che vive la tua carne
né il cammino scalato dal tuo fiato
non il fondo della notte che non ti fa sognare
né quando saremo piacere per la voce.
Più nulla io domando
perché mi stai nelle ossa
e non voltandomi né protendendo i sensi
tu fai di me ciò che vuoi.
Mi dilungo sulla terra, una mano scava
l’altra ti cerca gli occhi sul tramonto.
Espandi oro e argento, nel lasso di sole
accenni alle stelle al futuro
da ogni periodo, di tempo e parole
… pertugi luce.