Nell’andare e tornare

Ora sai, i tuoi occhi fanno dei miei
un dissennato mare
che sperpera i giorni
appuntandoti tra i capelli di un’onda
per poi sollevarli e da lì scoprire la sabbia
come il vento la debba assecondare nel suo andare e tornare
sperando di poterla stringere a sè.

A scavare il cielo

A furia di scavare il cielo
ci siamo raggiunti, scambiati di impronte
per questo tutto ciò che porto al viso
è la terra che calpesti
il fango che tarpa gli occhi
l’assenza che incolla il dolore in gola
le pietre calciate fino al blu

per questo tutto ciò che porti al viso
è la mia stupida leggerezza
quanto basta a voltarmi e chiederti se mi ami.

Nel mio giaciglio di gambe incrociate
ho disciolto lune dischi d’acqua
scaglie di pesci e ogni natura propizia
per farti proseguire il viaggio.

Per quel tempo in cui saremo specchi
e vividi alla mente
ti chiedo, allora, prosegui

in affluente, verso me.

Il compasso

Voglio la tua voce
che esca dal sempre e mi rimbalzi negli snodi del piacere

Dammi la mano
che esca dalla tana del ginocchio
dove hai memoria di lenzuola sudate

Voglio incontrare il tuo sguardo
che esca da una notte ormeggiata al soffitto.

Tra le dita che imploro
pretendo l’accadere di ogni tua anatomia.

42 ore dopo (a Eleonora)

Subito
cerchi nel buio il tuo respiro
per capire che sei viva

dopo un’ora
ti pisci addosso le lacrime della paura

tre ore dopo
pensi all’ostia sulla lingua
quando in quel giorno di camelie
iniziavi a credere in un dio.

Dopo dodici ore
il bianco degli occhi è l’unica luce che guardi
per non svenire

ventiquattro ore dopo
labbra risate e ossa non rispondono

trentasei ore sai che sono un giorno e mezzo
le hai contate sulle costole della morte

42 ore dopo
la terra trema e ti urla fuori

attaccata al seno della salvezza.

Leggimi

Leggimi gli impeti che scuotono l’erba
leggimi gli attimi in cui la testa
trova riparo tra le ginocchia
forza gli scuri sul petto
perché vi entri danza,
risate, musica e tutte le parole
che tu sai essere luce per me.
Scompiglia le strofe
sovverti le favole
leggimi con l’alfabeto uscito da una pozione.
Diventa sole per il mio corpo di donna.

Teniamoci

Trabocca l’erba che ti scalpita gli occhi
c’è vento e inarco nuvole.
Ho riposto la brutta stagione
la pelle aggrottata di lacrime è stata una foglia sola
un passo in fallo.

Ascoltato col tuo sguardo
questo cielo verde non mi fa paura.
Teniamoci e sorridiamo ogni capriola.

La leggerezza delle api

Non so che voce hai
quando il tuo sorriso parla
non so come i ricordi giochino
a incresparti gli occhi.
Invidio la leggerezza delle api
quelle ali piccole e operose
che invischiano il tempo
nella cruna del miele.
Così vorrei esserti, dolce
a tessere la dote
che primavera spargerà in cielo.

Piccole, terrene cose

Cielo a dirotto
la pioggia disperde
i passi che tendo a te.

I gabbiani volano bassi
il tempo ara il mare

addestro la schiena su piccole, terrene cose
finchè tornerai trascinando i tanti trofei del mondo.
Una corona di foglie sassi, i tuoi denti nella notte
non vorrei essere nessun’altra regina.

Dopo tutti questi sogni
finalmente mi avvero.

Cambiamento

Il vento cambia
le parole in bocca alle cose
gli sprazzi tra pietra e pietra

raffredda le stelle
mentre tu annusi cortecce
il fango che colma le crepe
la linfa in un ramo e nelle vene di bestie guardinghe.

E a mille cieli da te
a me arriva tutto, cambiato dal vento
neppure troppo.
Concimo le ore
tra i minuti cedo
e tremo.

I perché

Il sole avvampa
sui frutti maturi di succo
i banchi del mercato sotto casa
sono affrescati da alberi in fiore.
Scendo le scale senza freni
accusando ogni rumore di non colpirmi abbastanza.
Invece
silenzio, nel contare le monete di resto
silenzio, nelle mingherline ali di una vespa
nelle buste ingiallite come le mani che le chiudono.
Silenzio nei gomiti sbucciati di un cane,
nell’estremo riposo di un gatto sgualcito.
E io prendo nota di ogni dettaglio
dei dubbi che lo alimentano
che lo proiettano nel mio universo
cucendo forze e leve.

Rumore, nella mia grazia.