C’è quel gesto
che ci riporta umani
come l’alba più potente
che abbaglia tutti gli specchi di circostanza
lasciando pulsare l’essenza.
Il disegno del cuore.
C’è quel gesto
che ci riporta umani
come l’alba più potente
che abbaglia tutti gli specchi di circostanza
lasciando pulsare l’essenza.
Il disegno del cuore.
Avverto l’inizio
prendere spazio in modo arbitrario
contro il volere
il volare della mia indifferenza.
Come goccia di olio
che vedo solo sporcarmi la pelle
quando invece quieta la scottatura.
Ogni inizio è una promessa
che fa del tempo una Storia.
C’è il passo dell’uomo
che scala cemento, ultima roccaforte
da quando Natura gli ha strappato dai piedi
le rocce innalzate, perchè la smettesse
di imboccare arroganza alla statura.
C’è la malattia dell’uomo
il dito dismorfo a strumento
deturpa orografie e genealogie da crescerci.
Ci armano nel cemento a bocca e piedi stuprati
ma siamo disarmati al cospetto del cielo
che quando è magnanimo ci sputa addosso acqua.
[Mostro] a me stesso in quanti io sia
[Mostro] agli altri chi so fare
[Mostro] allo specchio la sua ipocrisia
[Mostro] di bravura, con la gola assetata di imparare.
Ai bordi del sogno
ti osservo e mi abbevero
imprudente, con il solito fare
di chi è convinta di saper tornare a cuor leggero
mentre sono un peso piuma
disarmato e ingenuo.
Mi hai tritata la carne
con quel sorriso d’architettura
appena svelato dalla maschera muta.
Dissipava il bianco
su gote in cui non scorgevo i tuoi baci muoversi,
montava la marea sulle mie labbra
quel tremore che porsi al tuo stupore.
Ci fu tutto il resto
si avvicinò a curiosare e poi fu
quello che il ricordo mi suggerisce si chiami manna.
Poi ritornasti avorio
finzione sorridente
uscisti e mi lasciasti sola
-nemmeno in sogno ne hai abbastanza-
a interrogare un calice
di realtà predestinata.