Il compasso

Voglio la tua voce
che esca dal sempre e mi rimbalzi addosso
a lasciarti ferita, negli snodi del piacere.

Dammi la mano
che esca dalla tana del ginocchio
dove hai memoria di lenzuola sudate.

Voglio incontrare il tuo sguardo
che esca da una notte ormeggiata al soffitto.
Pretendo l’accadere di ogni tua anatomia
tra le dita che imploro facciano scorta di sensi.

Mestessa

Cardo la mente
senza l’astio di ferri ricurvi.
La fuliggine è cangiante e densa
perchè ho sempre avuto cura del fuoco
credendoci, fin nel punto di cenere.
L’ho fatta scorrere sulle forme di carne
piacevole è questa frescura che mi porge l’intrigo
di ancheggiare, senza rimpianto per il corrimano.

Il cimitero di Praga

Ho ricordi avvinghiati in ossa
innocui, nella fossa comune.
Li sfioro di omaggio a piedi lievi
e sorridono come la coperta che in infanzia
assorbiva il percolare d’ogni mia caverna.

C’è poi lo stridore
di quel viale costretto a guardarlo,
la devozione pretesa da fiori esangui
nell’ascoltare il poco che resta alla linfa.
Inciampo di convinzioni
nel dichiarar vicinanza per l’ultima volta,
cedo a ricordi allineati nella pietra
che percorro a tempo di impronte e labbra infastidite.

Veglia senza fine
illuminata di preghiere sostanziate da un sasso.

Ho bisogno d’acqua
a snodarmi la gola che vuole imprecare.
Un bicchiere aggrappato ad un nido di pungiglioni
è quel che ci vuole, per bere
il veleno della salita sul monte.

Serve sempre sangue
coniato sotto la lingua
e, ricordati!
prima che tu metta piede sul guado.

Pezzo di carne

Ho pure le ossa
quel carapace che se lo avessi ascoltato
t’avrebbe narrato le mie cartilagini.
Sbattuta invece
sulle assi della tua noncuranza
dissanguavo in echi di aceto
frollata, sotto le onde
degli inganni che vestivi.

Sciolto, in labbra e maschere
al midollo non sei arrivato
lo tiene bene in succhio la mia vita
e ci imbecca grano e mani gentili,
sotto al sole -in bocciolo-
d’ogni mio pertugio.

La croce

Traccia una linea, da indice ad indice
poi tra capelli e alluci in volo.
Traslami il cuore nel punto di incontro
a colpi di vela, gonfia di intenti.

Decumano e cardine
calpestali, con la tua pelle.

Porcelain

Retroguardia delle tue labbra
avamposto nel mio cielo.
Sezione aurea tra i fili d’aura
che annodo in collana di latte.
Mi imbevo del tuo scivolare
sei la suggestione che non evolve in sogno,
dolce ma già altro.
Devo costruirmi
fosse anche sul pulviscolo.