Il sorriso è parola muta
disegnato dalle corde nelle labbra.
La lacrima è parola muta
disegnata dalle corde dello sguardo.
Archivio mensile:Aprile 2015
Alla mercè dei sogni
Mi sento piccola
un sassolino liscio nella mano dei sogni.
Poggiata in acqua
affondo e impasto sabbia
incornicio paste vitree e pulisco la condensa del dubbio.
Suddita dell’onirica mente
pettino la notte
e i fiori caduti sono i sogni del cielo.
Pure lui è umano
deve poter vedere i sospiri farsi petali e sostanza
per continuare a sperare.
La tua gonna rosa
Sul fianco riposa
sul fianco galleggiano i vestiti e una carezza di ricci
che increspa l’acqua come un delfino
sicuro nell’inseguire il mare e quell’istinto
che gli sussurra la prossima vita,
finalmente felice.
Skyline
Ti fai azione, tra la carne
sorseggiata un fotogramma alla volta.
Ti fai carne, tra le azioni del Piacere.
La pozzanghera in cielo
Testa a terra e schiena dritta
stare in piedi all’incontrario
annaspare le gambe in cielo
pedalando aria.
Si poggia sull’alluce
una biglia di sapone
illusoria prospettiva nel sembrare calpestarla.
Stenta la membrana ma non cede
sa dove deve arrivare.
Fattelo indicare da quel dentro rimasto bambino
“Come muore una bolla di sapone?”
“In pozzanghera, appesa al cielo.”
Cambia o non cambia
Cambia strada, lo sbaglio
ogni volta che sente montare i brividi
in piccole montagne, cuspidi
fino al cielo di ciò che è giusto.
Non cambia mai strada, il brivido
ogni volta che sente montare lo sbaglio
diventa cuspide, fino al cielo di ciò che è giusto.
Cambia strada, ogni volta che li senti.
I miei brividi raramente sbagliano.
Baciarti gli occhi
Tratti sterrati…
quante vite mi segni sulle labbra
che fanno breccia nel tuo carnoso nettare.
Un gomitolo di umori
sospira e lascia un nodo in gola
si cala nella pancia che sento dissipare
in quel gesto da cui parte il volo.
I Minotauri, narrati dalle ciglia,
sono mansueti al tocco della comprensione.
Non ne ho paura, dovesse anche cedermi la corsa
dovesse inasprirsi il conflitto
d’ogni tuo labirinto.
Quante bocche avrà ristorato?
Quante bocche avrà ascoltato
nelle labbra tremanti, appena uscite da un bacio
questa frescura, di gocce e muschio.
Come se raccontassi la mia voce ad un albero
e lui, in linfa, i suoi sentieri concentrici
mai liberi di una via d’uscita.
La chiamano
La chiamano i fiori per diventare polpa
e imbellettare dita di succo opalescente,
la chiamano gli uomini sotto i filari
perché ogni grappolo sia luce di mezzogiorno e trovi tramonto in botte.
La chiamano i bimbi
eccitati nell’impastare castelli con sabbia e libertà,
la chiamano gli ombrelloni a sgranchire le ossa dall’inverno
insieme alla brezza che pettina la paglia in cappello,
dolce frescura per la famiglia al mare.
La chiamano dalla pelle
una miriade di piccole bocche, stanche dei vestiti.
La chiama Dio, sulla pancia delle spighe.
La nost(r)algia (o nostalgia di noi)
Quella vena che baciasti più delle altre
oggi, ci si è insinuata la nost(r)algia.
Avrei voluto vararla
consegnarla alla deriva delle tue menzogne
liberarmene come un foulard superfluo alla pelle.
Pizzica…forse cambierà il tempo fra noi
lembi di una cicatrice che non si rassegna al coagulo.
Pizzica.
Forse muterà il mio ventre
in una culla di legno dove lasciarmi morire
ai rintocchi di una vena d’arpa.