Cambio di consonante

Giorni annotati sulla distrazione d’un foglio
pioggia a sgranarne i contorni.
Giorni annodati sul tuo gesto distratto
pioggia nelle tempie a sublimarne il ricordo.

Il potere

Quando sulla tua sedia troverai scritto “regista” allora avrai in pugno la vera libertà, anche quella di cadenzare il Tempo.

Appuntamento nel buio (racconto breve)

“Cosa manca? Ah! Il budino!” bisbiglio mentre mi dirigo verso lo scaffale. “Ti pareva, quello alla crème caramel sempre in alto lo mettono, uff!”. Mi arrampico sui tacchi, ci son…va via la luce.
Lo spaesamento dura un attimo, mi accanisco sulla confezione, ce la sto per fare…“Ahi!” Una tipa mi sale sul piede con uno stiletto di 24cm, a giudicare dal dolore che mi fa ritrarre. “Oh, scusami, non vedo niente!” cinguetta lei con voce da oca.
“Ma ahi! E due!” mi arriva un graffio sulla mano, ma che artigli ha questa qui? Mi afferra con premura la mano offesa. “Scusami, queste unghie finte sono bellissime, però, in effetti, sono armi micidiali. Non vedo l’ora che ritorni la luce, così le potrai vedere…glitterate…una favola! Ah, io sono Francesca!” spara una raffica di vocali e consonanti messe alla bell-e-meglio e mentre le pupille si stanno abituando al buio, intravedo le altre armi micidiali di Francesca, due seni da urlo stipati in una maglietta stretch. Mi tiene ancora la mano.
“Sono Eleonora” mi affretto a dire, così me la lascerà, la mano. Invece passa il pollice sulle mie nocche e di colpo sento il braccio imprigionato da brividi, come serpentelli che rapidi si rintanano fin nel nucleo del silenzio.
Sto zitta, zittiscono i pensieri, ho il viso che avvampa.
Mi divincolo dalla stretta e mi affretto a parlare per nascondere l’imbarazzo. “Questo black-out non ci voleva proprio, la mia pausa pranzo sta per finire, devo per forza passare per casa a lasciare i surgelati.” Ecco, appunto, i surgelati, anzi sarebbe meglio dire i ‘fu-surgelati’, visto che mi si stanno sbrinando sui piedi! Gocce fredde percolano dai fori del cestino che faccio cambiare di angolazione, fino a portare la cascatella refrigerante sull’alluce malconcio. “Ah, che meraviglia” sospiro.
“Hai ragione, il budino alla crème caramel è meraviglioso” Francesca interrompe con la sua banalità la mia estasi. “E’ insolito che ad una donna piaccia il crème caramel, col suo fondo amarognolo si addice di più ad un uomo”, commento, unendomi a Francesca nella sagra della banalità. Ho la scarpa fradicia, la tomaia è viscida come una medusa spiaggiata, la pausa pranzo sta per finire, devo passare per casa a cambiarmi, prima delle 19 non riuscirò ad uscire dall’ufficio… “Maledizione, ma che ore saranno?” impreco mentre frugo nella borsa, alla ricerca dello smartphone che non c’è.
“Ottimo, ci mancava solo questa! Ho lasciato il cellulare sotto carica in ufficio! Hai per caso idea di che ore siano?”. Mi volto verso Francesca, che nel frattempo si è messa seduta, con la schiena attaccata ai cartoni del latte a lunga conservazione, il tablet appena acceso che le illumina il viso. Quegli occhi, la fossetta sul mento… “Frà?”-esito-    “Francesco?” Non so perché il nome del mio primo ragazzo si tramuti in domanda mentre mi soffermo su una cascata di ricci neri da cui spunta un orecchino esagerato.
“Ciao, Elenoire.”
Lui era stato l’unico a chiamarmi così, l’unico ad avere studiato francese: non ho dubbi! E’ il mio Francesco inglobato in un corpo super femminile, decisamente più del mio! Si alza e mi si rivolge con tono sereno: “Ricordi quanto ti piaceva ‘L’elefante e la farfalla’, quante volte l’abbiamo cantata assieme? Ecco, il mio cuore di farfalla si è potuto finalmente ricongiungere al corpo che avrei sempre voluto.”
Le carezzo la guancia, poi indugio sulla fossetta del mento, come avrei fatto anni fa. Le sue dita scorrono sulle mie nocche.
Si accendono i neon del supermercato e non so per quanti attimi rimaniamo così.
“Lascia il cestino con tutta la spesa e andiamo a casa mia, ti presto un paio di scarpe, mica vorrai presentarti a lavoro con quelle due spugne lì!” si desta Francesca, ed io con lei.
Cerco un posto dove poterlo poggiare senza dare nell’occhio e ci dirigiamo verso l’uscita, sottobraccio, in allegria. “Prestami il cellulare, chiamo il capo per avvertirlo che oggi pomeriggio me lo prendo di libertà” le dico, mentre ci allontaniamo anni luce dal caos.

La sindrome

Inghiotto un pensiero
con due dita di grandine
per spegnerti in me.
Insolente
sei osmosi sul derma
ti burli della corda
cresciutami in pancia
inciampi e vomito il Nulla.
M’accartocci d’inutilità
coi tuoi intenti
e per una volta m’arrendo
ad essere pura sindrome
rifiutando la soluzione
dell’antidoto.

Stop. Non ti fermare.

Ti rotola dalla mente
quest’emozione che mi sussurra in corpo
che fa sbarrare gli occhi all’imprevedibile.
Un pezzo di vita strappi
dal sudore che inturgidisce labbra
coi tuoi sensi soldati
a marciarmi sulla pelle.
Sono gemito liquido
so di camicia pulita
del couscous che adori mangiare con le mani
so di umori sfregati sul parquet, di gesso e pece.
Mi reincarno in tutto
divento il tuo mondo
ti indico l’acme del mio godere urlare e lì ti accolgo.