Nell’impeto

Baciami
e sarò umore
fluido interstiziale tra pensiero e labbra.
Toccami
e sarò nuvola
confluenza tra la curva del ventre ed il cielo.
Chiamami
sconsacra l’aria e sfregia il silenzio
ansimando il mio nome.

Aritmia (ventricolo rock)

Un giorno guarderanno anche dentro il mio, di cuore.
Spinti da vene irrequiete
non so cosa ci troveranno
non so se busseranno alla porta
di un monolocale o reggia,
neppure so se saranno accolti dall’indulgenza
o da unghie aggrappate alla maniglia.
Un giorno il mio cuore li guarderà
sfidando la luce che urla negli occhi
per cercare sulla tavola imbandita col buono
quella briciola sfuggita alla gola.

 

La pescatrice di nuvole

Non mi è concesso volare
se non con la pazzia
che mi cadenza i giorni
mentre voi partite
arrivate, mi passate accanto
con ali sontuose e folte.
Le mie sono due mozziconi
aggrappate alla schiena,
moncherini, resti rimasugli
la negazione di ciò che è intero, insomma.
Stuzzico unghia con unghia
e viene via un’eco di cielo
che rubai ad un binario in corsa
o scivolò ad una valigia distratta.
-Mi dichiaro ‘Non colpevole’-.
Per i miei stracci sono regina,
obbediscono alle mani
che frugano in bolle di plastica
e laceri carezzano ferite.
Voi che vi vantate di fare ‘il cambio di stagione’
siete piccola cosa
voi che ridete del mio blaterare sdentato
siete piccola cosa
voi che gettate le nuvole come fossero avanzi in agonia
siete piccola cosa.
Io che le pesco, le riempio con la mia vita, fino a incrinarle
io sì che sono gran cosa.

 

Il vinile

Forchetta
sul piatto,
sul piatto
un vinile.
Puntina d’argento
ara il catrame
nere, sterili rughe
che fecondo di nostalgia.
Punta d’argento
solletica il vermiglio
rosse, sgranate labbra
senza più briciole di te.

In purezza

Si sbriciola il cielo
sulle spalle del paltò
goccia fin nel brecciolino
che suoni con le scarpe.

Requiem di lacrime.
Una foto ormai di stoffa
nata nella tasca
è il tuo scudo dagli schiaffi del vento.
Barcolli tra i corridoi
mentre togli l’armatura
di nonno, nipote
padre, figlio.
Diventi essere, in purezza
chino di fronte
al dolore di un fiore.

Sfogo. Punto.

Inanellare spigoli
di incomprensioni.
Così suggerisce la geometria
per far nascere l’arcobaleno.
Urlano i sensi
nelle orecchie dei muri
graffiano la pelle del pavimento.
Colano in ogni pertugio
creato sensibile
mentre tu, argilla
non mi hai mai capita.
Il mio sguardo è
un frapporsi di sbagli
tra le ciglia,
tasti neri e tasti di latte
compongono l’ultima messa
su labbra fatte altare.
Pugni di rughe
tremano, sbattono, tremano
strappano il ricordo
di noi, tavola imbandita.
Scanso briciole dal volto
senza più capelli
senza il grano delle tue carezze.
Annaspo tra i rami, tra i flutti
e sui rami e sui flutti
lego una corda
treccia di lettere
‘non mi hai capita’.
M’inghiotto.

Amen

Labbra ricurve
incollano dita
agli spigoli di un fazzoletto di carta.
Il naso a sbatterci contro
non per conforto
perché la vecchiaia cala il sipario sugli occhi.
Annuso ricordi
in voci e profumi.
Campane e zucchero a velo.
Domeniche e cartocci di paste
tra una briscola ed un tressette.
Spegnere risate nel posacenere.
Gettare acqua sul pensiero che la vita brucia.
Mi avvolge la realtà
e sono marionetta vestita dalle Parche.
Finché Atropo non sussurrerà
‘così sia’.

Come vorrei

Come vorrei
sbriciolarmi tra gli anfratti delle tue dita
essere ricordo pungente
per le ferite,
essere goccia di sale.
Lo vorrei
con la stessa intensità
con cui l’essenza
necessita della sua negazione
per vivere.
Come vorrei
che la piantassi di modellare
i contorni della parola amore
e avessi il coraggio di colorarla
lettera per lettera,
uscendo dai bordi, magari
sbavare.
Lo vorrei
con la stessa intensità
con cui una sostanza, perché sia,
s’imprigiona nelle proprie estremità.