Il sogno

Inarco la schiena
crepito come tronco svuotato
dalle tue labbra
di tarlo goloso.
Graffi gli anfratti
delle mie inibizioni
tagli gomene, manometti bussole
cauterizzi ancore.
Annaspo in una visione.

Il sole suona la sveglia.

Ogni tramonto che resta

C’è
un sobbollire di rughe
sulla tua spalla di padre
e il mio orecchio s’adagia
su queste corde d’arpa
pregne delle nenie d’un tempo.
Stringo negli occhi
il profumo di passeggiate,
serro le ciglia
perchè la luce non bruci
il fotogramma del nostro giocare.
Sgrano il futuro
dal suo baccello
se poggio la fronte alla tua tempia,
sono un seme d’uomo, marito, padre
cosparso sull’humus
di rispetto e tradizioni,
disperso ma mai perso.
Stiamocene così
per un domani ancora
con la sabbia che pretende la pelle
e la forgia in clessidra, per rotolarci
ogni tramonto che resta.

La sindrome

Inghiotto un pensiero
con due dita di grandine
per spegnerti in me.
Insolente
sei osmosi sul derma
ti burli della corda
cresciutami in pancia
inciampi e vomito il Nulla.
M’accartocci d’inutilità
coi tuoi intenti
e per una volta m’arrendo
ad essere pura sindrome
rifiutando la soluzione
dell’antidoto.

Stop. Non ti fermare.

Ti rotola dalla mente
quest’emozione che mi sussurra in corpo
che fa sbarrare gli occhi all’imprevedibile.
Un pezzo di vita strappi
dal sudore che inturgidisce labbra
coi tuoi sensi soldati
a marciarmi sulla pelle.
Sono gemito liquido
so di camicia pulita
del couscous che adori mangiare con le mani
so di umori sfregati sul parquet, di gesso e pece.
Mi reincarno in tutto
divento il tuo mondo
ti indico l’acme del mio godere urlare e lì ti accolgo.

Sul molo

Il vento annaspa nel sale
a secchiate mi sferza gli arti.
S’ossida il mio abbraccio
svilisce in ingranaggio
nel liquido amniotico della tua assenza
rinasco, cumulo di membra.
Così me ne starò sul molo
finché soffierai la bonaccia
a plasmarmi i contorni, le ombre
i sensi.

Il sabato che arriverà

Accadimi mentre inciampo
nel tramonto di quel sabato che sappiamo arriverà.
Accadimi tra i legni
della sedia cui m’aggrappo
cela ai sensi
la sirena che intona l’assenza.
Accadimi sulle spalle
come giacca di salsedine
e fammi perla per le tue stanze.
Accadimi come ringhiera di un faro
sarò vento che t’accudisce le ciglia
perché siano forziere di luce.
Accadimi
per poi scappare nella notte che non ci vivrà.

Le dita del Tempo

Le Ore
respirano nere biglie sui petali.
Il tempo e le sue dita
improvvisano un gioco
dispongono le sfere nella forma di contorni.
Sogghigna la clessidra
dilata la gola avida
dell’ultimo palpito di linfa
e fomenta i sensi tutti
perché accolgano la Bellezza, ormai esanime.

Nel correrti addosso

Ansimano le narici
circuiscono la guancia.
Il sospiro dell’intenzione
titilla il lobo
divento sciame di note tra le tue dita d’arpa.
Nel correrti addosso fin nella schiena
lascio impronte d’una primavera che si rassegna all’estate
ma ho tempo ancora per cogliere margherite, perché non siano
macerate dai giorni.