Una ragione per restare

Sussurramela.
Ansimano i piedi
battono così forte
sul selciato
che diventa vapore.

Dimmela.
Incollo impronte
al tuo portone,
le nocche si sciolgono
nella rugiada
che stamattina ti sorriderà.

Gridamela.
La confluenza delle mie scapole
è l’acquasantiera
del tuo profumo.

Regalamela.
Due giovani pianeti
ti abitano gli occhi
ed ancora più in fondo
forme di vita
da scoprire
sono come
ombre cinesi.

Viaggi in me. La notte di S. Lorenzo.

Sei qui con me,
tra gli applausi delle mie ciglia
nei pori di queste pagine
che mi hai regalato
senza righe né quadri
perché non ostacolassero
i miei pensieri infiniti.
Vorrei che quel bacio
che hai chiamato affettuoso
fosse il tuo specchio
sul mio palmo
così da averti tra le mani
anche nel gesto
più banale.
Sono lì con te
tra le spire di liquirizia
che t’imprigionano il bicchiere,
sono il ghiaccio che
cauterizza il dolore.
Non so perché mi ostini
a consultare la cartina
quando la soluzione
alla solitudine
sarebbe mettere una mano
dopo l’altra
a calcolarmi la lunghezza delle vene.
E scoprire di essere
un labirinto così semplice
se all’inizio ci sono io.
Se alla fine ci sei tu.

Aspettativezero

Il fiore strappato alle radici
esiliato nel vaso
sente la vita gocciolargli
dallo stelo;
quel barlume di vita è come olio
che si aggrappa all’acqua
senza abbracciarla mai.
Il fiore ha aspettative zero.
Un pensiero
denso e vermiglio
mi si affaccia sulle labbra;
veloce è il sospiro per deglutirlo
e ricacciarlo nell’anima.
Il pensiero ha aspettative zero.
Quel sogno
è nato morto
se pensa di poter contrastare
la realtà che mi stringe
nell’infinita apnea.
Tanto vale che Morfeo
lo riconduca a sé
come un palloncino esanime.
Il sogno ha aspettative zero.
Ogni mio gesto
ha aspettative zero
su quello che dirai
farai
su come sbatterai le ciglia.
E’ già imbevuto di noi.

Potpourri

Gli spalti e l’insinuarsi del mare
un cuneo turchese
ficcato tra i sedili dipinti di sole spento.
Errore di prospettiva.
E tu che prospettive hai
circa NOI? Da quale angolazione
osservi il concetto?
Errore di parallasse.
“Non pensare a me”
“Io ti penso sempre”
“Amore Mio”
colano sillabe dalle labbra
e collidono nel petto.
Particella di Dio.
Sulla guancia
hai una pennellata di giallo
un tatuaggio di polline.
E ridi perché quel pistillo
ha disegnato anche me.
Distrazione mendeliana.
A nulla valgono i tentativi
di stare lontani
di sfilacciare ricordi comuni
se la nostra pelle è un’unica stoffa
se la Natura cicatrizza le incomprensioni
con punti invisibili.
Genialità sartoriale.
Non me ne faccio nulla
dei chili di broccato
che hai regalato alla premiere danseuse
nemmeno ti ho chiesto
queste calze strappate
come l’ultima delle meretrici.
Ci basteremo
fino a quando mi terrai legata
con il filo dell’orizzonte
che sempre più spesso confondo
con la linea delle tue dita
nomadi.
O più semplicemente
finché la nostra tela
piacerà alle Parche.

Cosa rimane (parte seconda)

Togli
il velo di latte dagli occhi
non c’è tempo per tornare bambini
Togli
l’aria di tristezza
che gonfia la tenda delle ciglia
non ho forza per essere il tuo porto sicuro
mentre i contorni del mondo si sgretolano
Togli
ogni manifesto della natura
che ci si appiccica sulla pelle
e lascia l’anima a trasudare colla
Togli
tutti i male(bene)detti ricordi
che mi traghettano
-bestiali nocchieri-
nel paludoso limbo
Togli
il bel vestito
il trucco di scena
il plauso della gente
il calore profumato dei fiori.
Cosa rimane
se non la scintilla
dell’esser NOI?

Shall we dance?

Una sbarra.
Due mani accoccolate.
Sembra il midollo spinale
della Danza
da cui nascono
le nostre braccia nervose.
E questo contatto di dita
cancella dall’aria
le note di Mozart e Chopin.
Ora è solo
il respiro di una fisarmonica
i miei capelli sciolti
le tue impronte che mi spogliano
del vestito di crisalide.
Ora è solo
occhi contro occhi
il guardarsi infinito ed impalpabile
come filo di ragno.
Francamente non mi importa
se ho perso la mappa
del mio primo nucleo
su cui è scritta la risposta
al tuo “Shall we dance?”.
Il tempo è solo Ora.

All’origine del mondo

Quasi non distinguo il tuo volto
dalla nebbia che lo circonda
ti sfioro la guancia
e sei così impalpabile
che ti entro dentro.
Sei un buco nero
divenuto umano
la più potente delle stelle in cielo
la più bislacca miscellanea in terra.
Vorrei rimanere a galla
ormeggiare sul tuo cuore
asciugarti le lacrime con un fazzoletto di baci
osservare il respiro farsi regolare.
Spegnere finalmente la luce
su quanto di brutto hai incontrato
nel primo giorno
all’origine del mondo.

Scioglimi l’anima

E’una vita che ti aspetto
e non lo dico solo perché
ora sei dietro di me.
Seduto sul precipizio
so che appartieni ancora
alla terra di confine
tra il sogno e la realtà
perché ti divincoli dal mio abbraccio
come vapore.
Ritorno bambino
se offuschi i miei occhi
con le tue mani,
hai il profumo di una fiaba
che nessuna mi ha mai sussurrato.
Le tue gambe intorno a me
come catene che trascinano sabbia
mi liberi con la tua prigionìa.
Parti da qui
dal cenno delle mie dita
sul tuo volto
sui tuoi fianchi.
E’ il primo tassello
lungo la strada
del mio labirinto
incompiuto ed impervio.
In questa staffetta
per cui mi alleno dalla mia prima alba
arriva alla meta
dentro di me.
Scioglimi l’anima.

Incomunicabilità

Non so arrivare a te
con queste parole,
poggiarle una sull’altra
per costruire i pioli
di un discorso esanime
è tempo perso.
Non so arrivare a te
con questi passi
che ora guardi
come fossero cenere della mia danza.
Inutile toccarti
con quelle che un tempo
erano vene
in cui correva la nostra passione,
perché oggi
sono semplici dita di un uomo
qualunque.
Non riusciamo
ad arrivarci l’uno verso l’altra
o forse non vogliamo
più.
Troppa fatica
imbracciare le armi,
meglio interrare la bussola
e tinteggiare di nero
la Stella Polare
del nostro rapporto.
Vedo solo dune di sabbia
mosse dall’accanimento.
E mi disoriento.

Nell’arcobaleno

La mia abitudine
è ancora poco avvezza
a riconoscerti nelle piccole cose.
Se tu fossi
dietro questo arcobaleno
pur di raggiungerti
la mia mano – spergiurando –
lo scanserebbe come
un velo di misera fattura.
Il fatto è
Cuore Mio
che sei nell’arcobaleno,
un dipinto appeso ad una nuvola
per cui gli Dei
si sono scomodati
a mettere un dito
al posto del chiodo.
Il fatto è
che il mio cuore
è quella densa vernice vermiglia
dalle interminabili braccia,
che assecondano
il tuo arco fatto di sole
il tuo arco
dove tendi la speranza.
L’ingenuità
delle gocce di colore
mi apre il sorriso.
Tale e quale
all’ingenua intimità
che lega le nostre spalle.
Senza soluzione
all’enigma del continuo.