Alla radice della lingua

Manchi
alla radice della lingua
dove le parole si originano
e origliano la voglia
che dai fianchi dondola
in attimi sottopelle.
Manchi, alla radice dell’albero
sul quale mi faccio terrena cicatrice di intemperie
finchè il sole mi allunga in un ramo dopo l’altro
ma, ancora, manchi
alle estremità che non hanno tocco.
E’ una preghiera all’autunno
(inghiotta le ore del letargo!)
quella che intaglia la corteccia
in una storia di ali.
Ti arrivo, infine.
Alla fine… arrivi.

La fisica dell’acqua

Cercavo l’amore
nella fisica delle gocce, come desse
forma all’acqua e da questa nascesse il mare.
Dal cielo dal vento dagli occhi
coglievo le stelle le vele, il piacere senza ritorno
succosa di luna imbrogliavo le onde
e con la marea ti parlavo di me.
Dalla riva ti ho sporto i giorni
di paure vittorie frutti semplici
ma tra l’andare e il venire
questa sabbia se l’è presa il deserto.

Lo zenith brucia
e i miraggi mi irraggiano.

Tanti come quando

Quanti attimi ci vogliono
a raggiungere l’azzurro che racchiude
il cielo e i miei occhi, quanti per il mare
che si ritrae ma non rinuncia;
quante mandate chiudono il tempo in un ricordo
quante le reti per pescare conchiglie
quanti nodi per tenere insieme
il senso di queste piccole cose
quanti limiti da sciogliere per legare
tanti come quando ti allontani
e la carne del tuo abbraccio è il mio viaggio.

“E il Verbo si fece carne”

Ho voglia di un cuore
fatto solo della mia carne
un monolocale da abitare
senza l’agio dei sentimenti
dove i pensieri riescano a muoversi appena.
E parlare al pavimento pareti soffitto
senza usare verbi
che sennò si fanno carne
più di quanto lo sia il cuore,
un pasto inaccettabile
per la mia fame d’anima.

“In fabula”

Portami
dove le farfalle abitano l’immortalità
parlami dei sogni qui e solo qui
perchè basta un attimo alla luce
per bagnarli di ruggine
dimmi che ci sarà una vita degna di questo istante
noi come foglie che si avviluppano alla penombra
e in verticali di linfa ci facciamo carne.

Tra i miei seni

Il tempo tra i miei seni
è un semicerchio di meridiana
che baci nelle ore più felici
lo spazio tra i miei seni
null’altro è
se non il tempo che ci distanziava
vissuti a fare altro.
Il cuore tra i miei seni
dà la metrica a come mi carezzi
l’ho appena bevuto da questa coppa di vetro
e mi sento argentea, radiosa,
in ogni cosa possibile. Una goccia che dal ghiaccio
ti infiamma le labbra.

Cercherei

Cercherei
di voltare pagina alla mia pelle
senza mai trovare l’epilogo ai brividi
tendere il ventre al cielo
per farti declinare il piacere al cospetto dei seni.
Cercherei le curvature del vento
per intricare i capelli alle tue dita
e il gusto che provano le efelidi
a confondersi con le costellazioni
questo, cercherei sul tuo viso
sporto al mio bicchiere di rugiada.

La vendemmia

Il mare sorge di rosso
io, un sorso tra i tuoi occhi
che il tramonto scagiona dal pudore.
Un faro, questa panchina
inanelli perfezioni e me le sussurri sui pori,
increspo le labbra di sorrisi
e le parole nascono semplici come quello scorcio di gabbiani.
Il grappolo di lampioni si sveglia
e vendemmiamo baci.

La calza

Seduta al pianoforte
i gomiti tremuli guardano in terra
note che non hanno mai nidiato sullo spartito.
Sono la donna che ha attraversato i tempi
di molti uomini, incapaci smarriti indifferenti
alla mia fiamma che svelo di schiena
perchè non faccia troppa luce nè scaldi troppo.
Una candela vissuta a metà
flebile nelle notti ventose
che infilano perle di cera tra i seni
una candela vissuta a metà
stretta nel baluardo di mani senza coraggio.
Una candela vissuta a metà
sono questo adagio sui tasti
e la calza che si smaglia dal basso in alto
è il tempo di una vena nera
per entrare in circolo e smorzarmi.

Amaranta

Sole e nere le tue iridi
due pugni di pietra che strinano la luce
due soli neri a cui mi aggrappo
quando sento le ali in deriva sulle tue labbra.
Se Amaranta fosse il titolo di un libro
saresti un libro di geografia
saresti la geografia che ogni stella vorrebbe
per non perdersi.