Come eri vestita?

Un disco rotto nelle orecchie
schegge di vinile impolverano le cosce
stai ferma è facile
coi tarli della paura che ti mangiano i muscoli.
Ti piace, eh?
due dita nel corridoio del piacere
vomito un bacio nella prima stanza che trovo.
Avevo un carillon di pizzo sui fianchi
in bocca un’onda dolce, di quelle
che dondolano il mare fino alle stelle
il rossetto denso come il cuore della notte
e labbra polpose di un vino assoluto.
Presa per il collo
mi bevi cieco
l’etichetta è un vestito sulla risacca.
Ero fatta
che contenevo solo amore
ora sono un coccio di assenza
per i desideri da galleggiare in mare.

Come volete che fossi vestita?

I vostri occhi sono serrande aperte
e le domande fanno troppa luce.

La scultura

Mi abbasso
appena sopra te
come fossi un ciottolo, a levigarti
le ansie che scorrono dalle narici alle ciglia.
Le scogliere che restano
le archivio nel congedo che facciamo all’amore
saranno pietra grezza a cui dare nome e storia
nel prossimo mare che vivremo a letto.

Non più

Di te non più lacrime
da strizzarci un cuscino
nella notte che non asciugava mai.
Di te non più parole
da usurarmi la gola
nella notte che non si realizzò mai.
Di te di te
neppure un grano della mia preghiera sconsacrata
ci perdo più.

Il passaggio

Acqua controluce
quanto brucia nei miei occhi che vedono
ciò che tu neanche immagini si possa guardare.
Acqua controluce alla mia carne
senza una diga a ripararmi il derma
solo sacchi di sale che hai cucito dalle mie lacrime
e buttato nell’anima che tenevo innevata
come gioia di innocenza, dove ridere e tornare bambini.
Controluce alla finestra
sgocciolo di tremore
parlo e mi riverso dentro al mio sorriso
le labbra che si irrugano ma stanno
alle intemperie agli anni alle pietre che mi hai sputato.
Sono un passaggio sempre nuovo
e di qui dovrai passare.

Fragilmente forte (La canzone di Paola)

Sono una forza estrema
atto unico gorgo alla vita
come un grano di sabbia che diventa sasso
nella bocca di Demostene, in urlo al mare calmo
come un gatto che si esaspera nella linea dell’agguato
e quando arriva alla carne la struscia di fusa
come il fazzoletto
che potrei strozzarci i fiori spuntati dalle vene
ma tengo legato in testa.
Fragilmente forte
vedimi così specchio, nei riccioli che mi tremano le dita
a lisciarli tra le forbici
vedimi così onda, nei passi appesi alle vertebre
e anche tu, fortezza, vedimi così
la chiave di volta ce l’ho dietro gli occhi
non ti perdo di vista
e ti smaglio.

Jacob

Sgoccia la vita
in un rumore che si è fatto ossa
quando gli aghi cercano
gli ultimi rivoli di carne.
La materia è dappertutto
pioggia capelli coperte
mentre gli occhi mi febbricitano neve
e sento in gola il latte degli angeli.
Aspettare è un tempo già in ritardo
che non posso rispettare.

Sulle guance una carezza di nastri rossi
ha le stesse note del mio regalo di Natale.

La parte più cattiva di me

Come da bambini
la stanza di ospedale era sempre quella in fondo
proprio lì ho trovato la parte più cattiva di me.
Nell’andirivieni della pazzia
iniziai dall’alba, smisi di poggiarci i piedi
e la graffiai
di righe orizzontali i giorni pari
a righe verticali i giorni dispari
finchè non scrissi il mio campo di battaglia.
Aprivo la finestra e respiravo
gli incubi che il riposo lasciava in bocca
un ferro dopo l’altro, finchè la gola si accorciò allo stomaco.
Fui il tutto e il niente
fui notte dalla pelle troppo chiara
fui rabbia daltonica
fui un ammasso di stelle senza sogni intorno.
Poi arrivò la bile
e tra la sua miseria piantai rose spezzate
perchè ti ci potessi ferire
portandomi sul grembo una carezza.

Di questo autunno

E di nuovo torno sulla strada
bagnata e corsa da impronte
che mi dilatano sull’asfalto.
Ho pianto per tutta l’estate
di una sabbia che sento ancora nelle vene e brucia
come i muscoli nello sforzo all’arrivo.
Sapevo che sarei stata
un crocicchio a linfa sparsa
un luogo malforme a ogni geografia.
Le nuvole imbruniscono
l’albero rintocca
dei giorni di questo autunno.
Sfuoco i colori
alla vista della luna.

Volai, fortissimamente volli

Volai, fortissimamente
sulle prime foglie del volere
quelle sporche di terra
ostilmente compatta a ogni forma di vita.
Volai e stetti
effimera di ali colorate ma ben salda
come un rapace che circonflette l’orizzonte.
Volli e stetti
finchè il volere volò.
Caddi
ostilmente compatta a ogni forma di vita.